Otto Rank

Perché Rank oggi: due interventi

“Oggi ho comprato un’arma per uccidermi. Dopo, un’acuta voglia di vita e un intenso coraggio nei confronti della morte sono sorti in me”.
Così scriveva il giovane Rank (1884 – 1939) all’età di 20 anni quando una disperata solitudine e un acuto senso di inadeguatezza combattevano contro la sua profonda fede nelle proprie qualità uniche e creative, costringendolo in una opprimente crisi emotiva.
In questa frase, tratta dal diario del giovane Rank, c’è in forma condensata l’anticipazione di molti temi della sua psicologia: il ruolo della creatività, la natura della volontà, il significato della nascita e della separazione, la paura della morte e il desiderio dell’immortalità. Egli ha toccato con mano la scelta tra la vita e la morte e così, anche se inconsapevolmente, ha capito l’importanza della sua volontà. Fortunatamente ha scelto la vita assumendosi così la responsabilità di risolvere il suo conflitto emotivo.
Era tramite questa risoluzione che diventava creatore della sua personalità e successivamente di una psicologia della volontà creativa, che offre una profonda comprensione del dilemma umano.
Una lettura di Rank non garantisce sempre la piena coscienza del suo contributo.

Anaïs Nin che è stata vicina a Rank prima come paziente e, successivamente, per un breve periodo di tempo, come collega, diceva nell’ottobre del ’72: “Ci sono libri che leggiamo presto nella vita che sprofondano nella nostra coscienza e sembrano scomparire senza lasciare traccia. E poi un giorno troviamo in qualche vissuto della nostra vita che la loro influenza è stata enorme. Così è stato per Verità e realtà di Otto Rank, che ho letto all’inizio dei miei 30 anni…ogni parola che lessi doveva essere penetrata così profondamente in me da raggiungere un luogo di cui non ero più cosciente; non fu un’esperienza intellettuale ma profondamente emotiva. Così il significato di questo libro, i suoi principi entravano nel mio inconscio e non l’ho riletto fino a che l’ho riscoperto accorgendomi che la mia intera vita come donna e come artista testimoniava la sua influenza e la sua saggezza”. Nessuna delle opere di Rank individualmente fornisce al lettore il panorama della sua acuta percezione della natura umana. Infatti Rank si è opposto alla costruzione di una teoria per quanto riguarda la vita psichica perché ciò suggerirebbe una falsa costanza mentre la vita psichica in realtà è un flusso, un processo continuo di cambiamento.
Per lui il bisogno di una teoria in questo campo deriva dall’aspirazione umana verso qualcosa di stabile e solido a cui aggrapparsi, a cui credere per ottenere un’immagine di sé che dia significato e sicurezza alla propria vita.

Comunque, perché Rank oggi? Egli ha superato l’istituzionalizzazione del movimento psicoanalitico, di cui originariamente era parte, per sviluppare indipendentemente il suo pensiero.
Il risultato è stato che, pur lasciando in certi ambienti una traccia profonda sia teorica che clinica, la sua influenza non si è ampiamente diffusa. I suoi scritti psicologici risalgono a 40 o 50 anni fa. Ignoti al grande pubblico, furono avvolti dai suoi colleghi in una nebbia di pregiudizi, incomprensione e infine di silenzio. “Dove portano i suoi scritti?” mi chiedeva uno studente al corrente dei miei interessi verso Rank. In effetti, dove? In un senso ogni riflessione seria, nella misura in cui promuove un ulteriore pensiero, appartiene alla evoluzione della conoscenza, in un altro senso la saggezza psicologica di Rank è notevole per la sua rilevanza attuale. L’influenza di Rank non è stata avvertita nel passato ma verrà sentita nel futuro.
Rank ha anticipato a tal punto i suoi tempi che solo attualmente la situazione sociale avverte il bisogno dei suoi contributi. Viviamo in una società rivolta al cambiamento; per esempio l’evoluzione dei costumi sessuali con l’enfasi sulla “libertà e l’espressione” ha invalidato la tesi della repressione sessuale come causa principale della nevrosi. È diventata manifesta la futilità della gratificazione sessuale al di fuori di un rapporto significativo. Rank si è presto reso conto che gli esseri umani sono animali ‘etici’, la sopravvivenza è il risultato dell’essere ‘relazionale’ dell’uomo e che la sessualità è solo una delle dimensioni di questo essere ‘relazionale’. Il rapporto tra madre e figlio, la matrice di questa dimensione etica, è stato esplorato da Rank molto prima che diventasse centrale negli interessi della psicologia moderna. Egli vedeva il superamento dei conflitti inerenti a questo rapporto come cruciali per lo sviluppo normale. Il suo punto di partenza è la pulsione creativa in ogni forma vivente, una pulsione che si manifesta nella individuazione di ogni organismo e nel caso umano nello sviluppo della personalità individuale o nel prodotto della sua creatività. Il punto nodale di questo discorso è la diade madre-figlio dalla quale ogni persona deve sciogliersi in un percorso di successiva separazione ogni volta che la sua individuazione è minacciata.

È questa visione della dinamica psicologica come un’oscillazione tra un impegnarsi verso l’individuazione e la spinta a fondersi con qualche entità sociale più grande che rende Rank così attuale.
È raramente accaduto, come nella storia contemporanea, che l’essere umano si sia trovato nel bisogno e nel desiderio di consolidarsi in una identità individuale e allo stesso momento di fare parte di una comunità significativa. Grazie alla sua vasta conoscenza della mitologia, della letteratura e della filosofia. egli è consapevole dell’impatto dei valori e dei costumi sociali sull’individuo ed è molto sensibile al conflitto tra l’individuo e il collettivo. Oggi il contrasto tra la creazione del sé e l’invischiamento nel sociale è particolarmente aspro. Ma non è soltanto l’individuo alla ricerca della sua individualità; anche i gruppi sociali vogliono definirsi differenziandosi. Così abbiamo l’esplosione di gruppi nazionali, etnici, razziali, generazionali e sessuali, ognuno affermando la sua riuscita e i suoi diritti specifici. Questo è un aspetto caratteristico della fase evolutiva psicosociale in cui ci troviamo. Egli è stato pienamente consapevole di questo processo e il suo saggio: “Psicologia femminile ed ideologia maschile” rappresenta uno dei migliori esempi della sua capacità di essere profeticamente in anticipo sul suo tempo. Prevedeva i problemi che sorgono dall’indebolimento della religione organizzata che veniva incontro al bisogno umano di immortalità sostenendo la fede nell’esistenza di una dimensione spirituale manifestantesi nell’esistenza dell’“anima”. Percepiva il nostro bisogno di credere nella sopravvivenza di questa anima in qualche forma, bisogno che può essere accontentato identificandosi con un ideale di gruppo che trascende il sé superando, così. l’inevitabile paura e sofferenza dell’isolamento.
La perdita della fede religiosa ha comportato l’aderenza alle ortodossie secolari, come le ideologie politiche e le teorie psicologiche. Nessuna di queste, però, riesce a risolvere il dilemma umano primario: il conflitto tra la pulsione verso l’individuazione e l’attrazione verso la fusione. Mentre tali ideologie possono dare significato all’esistenza per un periodo limitato, non riescono a soddisfare il nostro bisogno di spiritualità né sostenere la nostra “antica ed illusoria credenza nell’anima” in quanto basata su una visione materialistica e ‘causale’ mentre la spiritualità deriva dall’ “astratto, ineffabile, esoterico”.

Egli è convinto che noi tentiamo di trascendere noi stessi insegnando e creando livelli sempre più alti nel campo dei valori, tentando, così di perpetuarci oltre l’esistenza materiale, di renderci immortali. È necessario, quindi, credere all’esistenza di una dimensione spirituale perché è questa fede che ci sostiene dando significato alla nostra esistenza. Rank è critico nei confronti del tentativo di rendere la psicologia una scienza naturale e di “spiegare” la vita umana esclusivamente in termini di causa ed effetto. C’è un mistero, un aspetto inspiegabile della nostra esistenza spirituale su cui si basa la nostra credenza nell’immortalità e il nostro indirizzarci verso i valori più alti indispensabili per vivere. Però, secondo Rank, questa credenza è continuamente minacciata: fuori dal tentativo “delle Istituzioni legali e sociali di rendere l’anima materialistica e concreta” e internamente dalla “coscienza del sé, inflazionato ed introspettivo, sottoposto alla psicologia moderna intesa come scienza in grado di spiegare razionalmente il pensiero, il sentimento e l’azione”. La psicologia è il nemico peggiore dell’anima perché per creare la propria spiegazione della morte è costretta dall’autocoscienza a dimostrare che l’anima non esiste. In un’epoca materialistica che soffriva dell’autocoscienza e che rischiava di perdere non solo la credenza nell’immortalità ma anche quella nella spiritualità, la psicoanalisi rappresentava un nuovo tentativo di conservare lo spirituale facendolo però nello stile di una scienza naturale. Ma una psicologia realistica potrebbe soltanto significare la morte dell’anima”.

I termini di anima e di immortalità sono utilizzati da Rank diversamente di quanto fanno la religione e la teologia. Egli intende quella qualità della vita psichica non riducibile alla materia e che aspira a perpetuare il sé trascendendo i limiti dell’esistenza naturale ed immediata o tramite un atto creativo o per mezzo dell’identificazione con un progetto collettivo che diventa il proprio.
Nella lotta per l’individuazione e per trovare significato nell’esistenza e perpetuazione del sé, Rank si basa sulla nostra capacità di “volere creativamente”: di volere la creazione della propria personalità, e dei prodotti del creare di cui siamo capaci, ma soprattutto di affermare volitivamente la vita stessa (anche se piena di conflitti irrisolvibili), scegliendo, cosi, di volere noi stessi. Affermare la libertà dello spirito nell’operare scelte con l’esercizio della volontà è in contrasto con la visione di Freud in cui l’uomo è il prodotto e il prigioniero della sua costituzione e della sua esperienza passata. Il determinismo di Freud è reso in qualche misura flessibile dalla considerazione che l’essere umano può modificare l’influenza del passato; altrimenti perché avrebbe tentato la psicoterapia ? Similarmente Rank non nega l’influenza dell’ambiente e l’esperienza passata nella formazione della personalità. I due si differenziano, invece, nel concetto di cambiamento. Freud traeva le sue scoperte sulla personalità dai tentativi di trattare la nevrosi e, quindi, il suo modello della personalità deriva dagli effetti degli squilibri nelle forze operanti nell’individuo. Quindi il cambiamento nella personalità è definito come una riorganizzazione delle entità e forze in un campo strutturato dovuto all’intervento terapeutico. Rank, invece, si occupa fondamentalmente dell’individuazione come un processo che comincia con la separazione dalla matrice materna, procede attraverso lo sviluppo della volontà, arriva all’esercizio dello scegliere e finalmente all’atto creativo che comprende la creazione della propria personalità. Il cambiamento è, dunque, una scelta creativa della volontà e implicante l’assunzione della responsabilità. È con questa enfasi sull’individuazione come espressione della creatività che Rank si oppone al punto di vista deterministico della psicologia. Non soltanto l’individuo è psicobiologicamente unico, quindi non prevedibile in termini di leggi generali, ma è capace di accrescere ulteriormente la sua imprevedibilità impegnando la sua singolarità nella creazione del nuovo. Questa capacità innovativa è comune a tutti ma raggiunge l’apice nel lavoro del genio creativo. Così la psiche è governata non solo dalla causalità deterministica ma anche dall’imprevedibilità intrinseca al suo potenziale creativo.

Rank si stava lasciando indietro il positivismo scientifico caratteristico del XIX secolo ed è stato senz’altro influenzato dalle stesse forze intellettuali che hanno portato nel campo della fisica alla teoria dei quanti, ai concetti della relatività e al principio di indeterminazione.
Scrive Rank: “La mia concezione non è che il principio della causalità sia ‘falso’ ma che non basta più al nostro livello attuale di consapevolezza perché il suo significato psicologico ha sovvertito il suo valore euristico”.
In rapporto al mondo della natura questo “livello attuale di consapevolezza” si manifestava in nuove teorie fisiche; nel mondo umano dove si fa strada una nuova dimensione della psicologia, l’orientamento di Freud, col suo determinismo meccanicistico, appartiene alla psicologia dell’ottocento. Era un passo inevitabile e necessario per capire l’uomo in quanto la psicologia, prima di Freud, aveva una storia breve se paragonata alle altre scienze, e si era limitata all’osservazione di fenomeni superficiali non andando mai ad indagare nel profondo della motivazione umana.
Rank stesso, una personalità creativa e orientata in avanti, è stato attratto dalla allora nuova psicologia dinamica di Freud per poi superarla ed entrando quindi nel XX secolo. Egli elabora una psicologia relativistica in cui l’unicità o la singolarità di ogni soggetto cambia con il proprio potenziale creativo per partecipare all’evoluzione psicosociale che sola può soddisfare i limiti del sé mortale ed effimero. Era inevitabile che una tale visione della psicologia umana, guidata non da una teoria meccanicistica ma dalla consapevolezza di un processo interattivo tra individuo e società e dal ruolo svolto in questo processo dalla volontà creativa dell’individuo. comportasse un approccio terapeutico molto diverso da quello di Freud. Rank capiva la nevrosi “come il risultato di un eccessivo controllo da parte della volontà sulla natura dell’individuo. In breve la nevrosi è il risultato dell’imposizione sulla spontaneità”. Diventava terapeuticamente necessario tutelare il potenziale del paziente per l’espressione spontanea e personale.
Ciò è ottenuto nel modo migliore dall’accettazione. da parte del terapeuta, del paziente come persona a prescindere dal suo livello di sviluppo emotivo. Una accettazione così acritica dimostra la fiducia del terapeuta nella capacità del paziente di progredire oltre i suoi attuali limiti nevrotici. È con la percezione del paziente di questa accettazione e fiducia e insieme alla sua abilità di identificarsi con essa che egli comincia ad accettare se stesso abbandonando l’ipercontrollo e l’autosqualifica per diventare positivo e creativo.
Per Rank, allora, la psicoterapia è un processo vivente dello sviluppo della personalità e non una ricerca di una causalità presupposta la cui comprensione razionale dovrebbe teoricamente far svanire il comportamento nevrotico.
Così il tema del processo creativo vitale è il leitmotiv di tutto il pensiero di Rank: nella sua filosofia della terapia, nella sua definizione della volontà come l’ego che opera coscientemente le scelte, compresa quella di emergere come individuo unico; nella sua comprensione dell’interazione tra l’individuo e il collettivo; nel suo percepire la colpa inevitabilmente conseguente all’atto creativo di differenziarsi.
La psicologia di Rank, o meglio, la sua visione della vita e dell’uomo è una sinfonia in cui questo tema principale compare e ricompare con molte variazioni. Per quelli disposti a rinunciare alla comodità di concepire la realtà oggettiva come verità assoluta, e che possono tollerare la relatività e l’indeterminatezza, ogni variazione è un invito ad una nuova e personale scoperta creativa.

Esther Menaker

 

La singolarità di Rank come psicologo, psicoterapeuta e precursore parte dal suo profondo riconoscimento del dilemma e della ricchezza dell’esistenza umana. La sua sterminata conoscenza della cultura e della storia lo ha reso pienamente consapevole della dimensione sociale dello sviluppo umano; allo stesso tempo è il primo ad enfatizzare l’importanza dell’individuazione e dell’insita volontà all’indipendenza. Per lui, questa pulsione creativa e l’altrettanto radicato bisogno d’inserimento ed appartenenza, le spinte verso la separazione e la fusione, sono le fonti dei nostri conflitti più profondi, ambedue concepibili come movimenti o verso la vita o verso la morte.
Da Rank sorge la percezione (che può aver influenzato i suoi allievi come Cari Rogers e Rollo May) che il processo terapeutico non è una “teoria” e una “tecnica”, da applicare a problemi specifici, ma una esperienza nuova e vitale nel presente. La terapia, per lui, offre, tramite l’evoluzione di un rapporto, un approccio singolare per ogni individuo.
È stato così l’anticipatore dell’umanesimo in psicologia, in contatto con le realtà esistenziali che sfidano ogni dogmatismo e portavoce della creatività che permette agli individui di trascendere il loro destino inevitabilmente tragico, trovando così un significato nella vita. La storia personale di Rank evidenzia il potere della volontà creativa, in quanto è riuscito a superare l’ostracismo e l’isolamento, prezzo doloroso della scelta di deviare dalla ideologia dominante, e continuare così ad inventare ed esprimere nuove idee e aprire nuovi orizzonti.
Più di ogni altra persona salvo Freud, Rank è stato responsabile dell’emergere e del fiorire della psicoanalisi; il suo nome compare come coautore in quattro edizioni dell’Interpretazione dei sogni, prima che fosse tolto e consegnato all’oblio. Ponendo l’enfasi sulla madre e la separazione da essa, ha anticipato la scuola delle “relazioni oggettuali” della Klein, di Fairbain e Winnicott, e in tal modo ha ridimensionato l’importanza del complesso edipico, e per primo ha reso esplicito che lo sviluppo psichico della donna ha una natura specifica e non è una versione castrata di quella maschile, concezione questa, alla quale Freud approdò negli ultimi anni di vita.
Dando la responsabilità e l’opportunità per la crescita e il cambiamento all’ego, concepito come potenzialmente attivo ed autonomo, ha precorso in molti punti la corrente di pensiero di Hartmann e Kris.
È ora che Rank sia reinserito nel posto che gli spetta, allo stesso tempo, al centro della nascita del movimento psicoanalitico e all’avanguardia della psicoterapia post-freudiana.

Barrie Simmons

Redazione IPGE
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