L’arteterapia ha bisogno di arte terapeuti e gli arte terapeuti hanno bisogno di formazione. L’idea di un manuale di Arti Terapie nasce dell’esigenza, avvertita nei diversi ambiti applicativi del corpus disciplinare, di strutturare e formalizzare una quantità di contributi teorici, tecnici e metodologici che è rigogliosamente – ma spesso disordinatamente – fiorita nel corso dell’ultimo decennio.

 

Le aree tecnico-metodologiche individuate (foto e video; teatro, musica e danza movimento; narrazione, scrittura e scrittura autobiografica) rappresentano una novità assoluta nel panorama contemporaneo delle arti terapie, dal momento che riconducono ad esse un numero considerevolmente più alto di discipline artistiche rispetto alle sistematizzazioni tradizionali comparse finora.

 

Il testo realizza l’intento comune degli autori, tutti professionisti affermati a livello nazionale ed internazionale, di accompagnare gli arte terapeuti nel loro percorso di crescita, dall’inizio del training formativo sino all’applicazione metodologica e alla realizzazione professionale. Il testo si presenta come una raccolta ordinata di “istruzioni per l’uso”: a partire da una narrazione storica, evolutiva e semantica della disciplina e attraverso l’articolazione in tre differenti sezioni, relative alle aree tecnico-metodologiche considerate, vengono illustrati efficacemente diversi modelli progettuali e applicativi nel campo delle arti terapie.

 

Curatore: A. M. Acocella, O. Rossi
Editore: Franco Angeli

Prefazione di Stefano Federici

«L’arte è nella nostra natura: ce l’abbiamo nel sangue, come tradizionalmente si usa dire, o, come potremmo esprimerci oggi, nel cervello e nei geni. In ogni società si balla, si canta, si decorano superfici, si raccontano e si mettono in scena storie. I bambini iniziano a prendere parte a tali attività già a due o tre anni, ed è possibile che le arti si riflettano addirittura nell’or­ganizzazione del cervello adulto: un danno neurologico può lasciare in grado di udire e vedere, ma rendere incapaci di apprezzare la musica o la bellezza visiva» (Pinker, 2006, p. 494).

Sembra paradossale che ciò che ha accompagnato lo sviluppo della specie umana da migliaia di anni, plasmando la nostra mente, costruendo e veicolando i contenuti universali e particolari delle diverse culture, offrendo significati e ragioni all’esistenza, fornendo prove ad un’esistenza di Dio, dando ragione a quell’anelito di immortalità che sostiene l’individuo dal declino giornaliero del quotidiano e da quello definitivo dell’invecchia­mento, che parla un linguaggio che va oltre ogni lingua creando grafemi unici di un universale sentire ed esprimendosi in fonemi unificanti tra i babelici suoni di radicali differenze, l’arte sia introdotta nelle scienze della salute come un “nuovo” mediatore per il trattamento del benessere umano. Nuovo?

Come ci ha insegnato Kuhn, sicuramente nuovo non è, nella storia della scienza, che una scoperta – anche di ciò che è più vicino all’essere umano, come l’ossigeno che ci avvolge – abbia richiesto non tanto la genialità di uno scienziato, ma la rivoluzione di una comunità scientifica, un mutamento nella concezione del mondo, una nuova visione di esso che lasciasse intravvedere quello che altrimenti, e fin nel diciottesimo secolo, era rimasto invisibile agli occhi, incomprensibile alla scienza e inafferrabile al ricercatore: l’ossigeno. Quel che fu nuovo nella scoperta dell’ossigeno non fu certo la sua esistenza. Lavoisier e Priestley non ci insegnarono a respirare, né diedero vita alla combustione della legna in un camino. Essi non modificarono la nostra esperienza fenomenica, ben più antica del loro genio, allo stesso modo in cui Galileo non ci impedì di assistere al calar del sole dietro un orizzonte solo perché ci convinse dell’eliocentrismo. Tuttavia, tutti loro cambiarono la visione del mondo in cui ciascuno avrebbe continuato a respirare o a osservare il movimento degli astri.

Quel nuovo delle arti terapie offerto in questo libro curato da Annamaria Acocella e Oliviero Rossi non è certo l’arte né, in un certo qual modo, la nostra esperienza dell’arte. Ciò che questo libro fa è rivoluzionare il modo di vedere il rapporto tra l’arte e la scienza, la salute e la medicina, il benessere psicologico e i suoi mediatori. La novità che emerge con forza dalla lettura di questo libro è che la salute non è una prerogativa della sola medicina tradizionale. Che l’arte è esperta di salute, può guidarci, attraverso i processi creativi, a cogliere il funzionamento umano e a favorirne il benessere agendo su di essi. E siccome l’esperienza artistica possiede una base biologica, prima ancora che sociale, universale e non solo culturale, può essere efficace anche a quel livello che finora sembrava poter essere prerogativa della sola medicina, cioè il livello biologico dell’essere umano.

Certo, in un clima di contenimento delle spese sanitarie a causa della crisi finanziaria che attraversa l’Europa e in misura diversa tutti i paesi sviluppati, la necessità di giustificare accuratamente le risorse e di mettere in atto interventi e pratiche di aiuto e sostegno alla persona che siano basate su dati evidenti che dimostrino il vantaggio nel rapporto costo-benefici, spinge non solo le pubbliche amministrazioni, ma ogni persona a pretendere che si diano prove dell’efficacia dei diversi modelli terapeutici. A tal riguardo non mancano studi recenti nazionali e internazionali che hanno dimostrato l’efficacia delle arti terapie su persone con Alzheimer e demenza, con malattie croniche, paralisi cerebrale, afasia, leucemia, disturbi dello sviluppo, burnout e nel trattamento dell’ansia e della depressione, su pazienti psichiatrici, su bambini con disturbi dell’attaccamento, sulla qualità di vita di persone incarcerate, su donne, bambini e giovani abusati, sulla popolazione sana in diverse età. L’efficacia è dimostrata sia su dati raccolti attraverso l’osservazione del comportamento sia su dati di natura endocrinologica. Tuttavia, ritengo che si stia ancora misurando un effetto con criteri non del tutto rinnovati dalla novità di un modello di realtà e persona che le arti terapie introducono. È come se la comunità scientifica volesse misurare la quantità di ossigeno presente in un ambiente con la stessa visione del mondo degli scienziati della chimica del flogisto. La scoperta dell’ossigeno non fu semplicemente la scoperta di un’aria deflogistizzata. Il nuovo delle arti terapie non è né nell’arte, né semplicemente nell’introduzione di alcuni mediatori artistici all’interno della relazione d’aiuto, ma nella visione della persona umana. Ed è questa novità che ancora, forse e per molti versi, stiamo scoprendo e di cui probabilmente non abbiamo ancora imparato a misurare gli effetti.

Vi ricordate il segreto che la Volpe svelò al Piccolo Principe? Inessenziale è invisibile agli occhi. Quanto è vero! E ciascuno di noi, come il Piccolo Principe, dovrebbe tornare più volte ai roseti del proprio mondo (esperienziale) per scoprire che non tutte le rose sono uguali alle altre. E la via dell’arte, che è una via del cuore, può rendere visibile ciò che sfugge agli occhi della qualità e del benessere di una vita.

Cosa ci avremo guadagnato dalla lettura di questo libro? Quello che la volpe guadagnò dall’incontro con il Piccolo Principe: il colore del grano. Per quanti di noi l’arte e la propria creatività sono come del grano per una Volpe: non nutre? Questo libro ci guida a scoprire come riguadagnare il colore della vita attraverso l’espressione creativa che è parte essenziale della nostra natura.

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