Teatro del sogno

Il teatro del sogno come flusso della condotta

Tutte le diverse parti del sogno sono frammenti della nostra personalità. Dato che il nostro scopo è  quello di fare di ognuno di noi una persona sana, il che significa una persona integrata, quello che  dobbiamo fare è rimettere insieme i vari frammenti del sogno. Dobbiamo riappropriarci di queste  parti proiettate e frammentate della nostra personalità, e riappropriarci del potenziale nascosto che  compare nel sogno.

F. Perls

In questo articolo voglio accennare ad alcuni aspetti della tecnica di intervento sul sogno nel setting psicoterapeutico.

Ogni approccio psicoterapeutico ha sviluppato delle modalità peculiari di intervento che rendono  operativi gli assunti teorici di partenza. Questo dato ovvio, ma a volte sottovalutato, porta a ridurre  la concezione teorica di partenza alle tecniche d’intervento sviluppate nel suo ambito, ostacolando  la possibilità di una corretta integrazione ed evoluzione delle tecnologie 1 d’intervento clinico in  ambiti concettuali differenti.

Questo è accaduto in modo emblematico con la Psicoterapia della Gestalt, spesso confusa e ridotta  alle sue modalità operative, dimenticando la base esistenziale ed umanistica che orienta il suo approccio.

L’idea portante che F. Perls utilizza per sviluppare la sua tecnologia di intervento sul sogno è che esso sia, in ogni sua componente, l’insieme delle proiezioni delle parti della personalità del  sognatore. Quindi, secondo Perls, è importante che la persona possa entrare in contatto con le  figure del sogno per riconoscere in quale modo gli appartengono. Il processo di integrazione e  crescita personale parte da questa operazione. Questo concetto estremamente fertile può essere  completato dicendo che non è soltanto la rappresentazione onirica delle parti di sé ma la  rappresentazione del modo di essere nel mondo del soggetto, della dinamica della sua condotta 2 .

L’enfasi sul concetto di condotta ci permette di utilizzare quello di flusso della condotta così definito da Venturini

“Come si parla di flusso della coscienza (W. James) così possiamo parlare di flusso della condotta, nella quale solo astrattamente possiamo ritagliare segmenti discreti, corrispondenti a singole azioni o a cicli della condotta (ad es., una fase del ciclo vitale, un ciclo della vita lavorativa): un organismo vivente non può infatti mai cessare di esercitare la sua condotta, i vari atti ponendosi in una successione continua, cosa questa di cui va sottolineata tutta l’importanza nella clinica psicologica.

Il pensiero orientale ha da millenni espresso col termine karma il concetto di una legge universale di causa ed effetto delle azioni, e la tradizione buddhista ha sottolineato l’interrelazione universale dei fenomeni, descrivendo i processi (nidana = anelli) attraverso i quali un essere vivente viene all’esistenza ed è legato alla Ruota della vita” (Venturini R., op. cit., p. 71).

Possiamo, infine, vedere l’unità della condotta manifestarsi nei legami durevoli stabiliti con l’ambiente, sia a livello fisiologico (selezione delle risposte che assicurano la sopravvivenza dell’organismo) che psicologico, e questo sia in forme normali (abitudini, strutturazione della personalità, relazioni oggettuali) che  patologiche (fissazione, compulsione di ripetizione, nevrosi di destino). La concezione dinamica dell’inconscio considera gli effetti durevoli e ricorrenti delle pulsioni rimosse (inerenti a conflitti che non hanno trovato soluzione) e il loro possibile irrompere nella condotta e nella esperienza cosciente. L’effetto Zeigarnik, cioè la tendenza per la quale i compiti interrotti o non portati a termine sono ricordati più facilmente (e più spesso ripresi) dei compiti terminati, può vedersi come il prodotto della frustrazione di una attività motivata.

Il sogno nella terapia della Gestalt viene accolto come una rappresentazione dell’esistenza dell’individuo e in questo senso possiamo parlare di ciclo onirico della condotta. In esso il rapporto organismo/ambiente non s’interrompe in quanto viene rappresentato all’interno dell’organismo. Le regole diventano quelle specifiche allo stato del sogno, il sonno diventa custode del sogno 3 garantendo al sognatore la possibilità di sganciarsi dalle regole fisiche, temporali e sociali che strutturano la realtà dello stato di veglia.

L’ambiente onirico diventa una mappa attiva che raffigura e rende operanti le emozioni e i vissuti del sognatore, dando vita alla rappresentazione delle sue dinamiche intrapsichiche e relazionali.

Nel sogno, quindi, l’interazione dinamica degli elementi nei quali è parcellizzata la rappresentazione dell’esistenza, genera la figura d’insieme che riproduce il sognatore nel suo flusso di condotta.

Questa considerazione è euristicamente importante nella modalità gestaltica di lavoro sul sogno in quanto amplia le possibilità terapeutiche offerte dal recupero della proiezione mostrandone le potenzialità di ristrutturazione della condotta.

La tecnica spesso adottata per favorire questo processo di riappropriazione delle proiezioni, è quella di invitare il paziente a ripercorrere il sogno riattualizzandone le vicende nella interpretazione drammatica.

Il sogno come campo dinamico

 

Coerentemente con la teoria gestaltica, il sogno può essere considerato come un insieme organizzato in un campo dinamico. Il lavoro sul sogno nella terapia della Gestalt si caratterizza per la cura sull’insieme, oltre che sulle parti del sogno, e per la costante attenzione al significato risultante dalla collocazione degli elementi nell’insieme.

Nella pratica clinica, questo si traduce nell’offrire al paziente strumenti di lavoro che gli permettano di guidare l’attenzione/consapevolezza in un percorso che “visita” le diverse parti del sogno, le mette a confronto, permettendogli di trarre da questo confronto nuove conoscenze.

Il rapporto psicoterapeutico offre la possibilità di esplorare i propri vissuti affettivi in un contesto relazionale. Questa operazione aggancia il flusso di condotta vissuto nel sogno ad un supporto reale, rappresentato dalla relazione terapeutica, nel quale è possibile osservare e ridefinire le modalità nelle quali il sé si configura al confine di contatto organismo/ambiente.

La relazione con se stessi e con l’ambiente è mediata e organizzata dalle proiezioni e dal nostro “sistema di credenze” che diventano, più o meno inconsapevolmente, gli elementi con i quali costruiamo le nostre anticipazioni e il nostro modo di esistere nel mondo.

L’operazione di interpretazione drammatica del sogno favorisce — rispetto alla dimensione esistenziale nelle sue componenti di presenza, responsabilità e consapevolezza — un cambiamento di segno a vari livelli:

  • lo svolgersi della narrazione di sé dallo stato di passività del sonno si trasferisce nell’attività cosciente della veglia
  • le situazioni subite nel sogno, sono ricostruite nella rappresentazione con la direzione del sognatore.

Tra il sogno sognato e quello rappresentato c’è il racconto del sogno, che è anche la concettualizzazione dell’evento onirico in una forma narrativa e la sua riorganizzazione in termini tali da poter essere ricordato. Solo dopo questa operazione il sogno può essere raccontato a un altro. La traduzione in termini narrativi del sogno segue le norme del “sistema di credenze” del sognatore, che operano nella sua vita da sveglio. Il sogno come lo ricordiamo è, quindi, anche una rappresentazione dell’organizzazione cognitiva con la quale costruiamo la nostra visione di noi stessi nel mondo.

Il sogno ricordato nel racconto è vissuto come evento concluso, passato; lo svolgersi della sua trama una volta disegnata non consente la possibilità di scelta. Ai fini dell’intervento sulla condotta è utile considerare la struttura che sostiene il racconto del sogno, corrispondente alla configurazione/limitazione della modalità esistenziale che la persona adotta nella vita reale, o che vorrebbe adottare ma non si permette di fare. La rappresentazione del sogno viceversa consente, attraverso un’operazione di riattualizzazione, l’esplicitazione delle scelte omesse o possibili ed evidenzia il sistema di credenze che le dirige nella condotta.

Il momento del racconto del sogno, quindi, si situa già all’interno della relazione terapeutica: il terapeuta entra e partecipa con il suo ascolto; il racconto si appoggia al “noi” della relazione come campo dinamico che permette e promuove la comunicazione, l’intervento terapeutico e la ristrutturazione da parte del paziente. Al tempo stesso la particolare relazione fra le due persone influenza il modo in cui il racconto si configura (con determinate enfasi, omissioni e censure), dando la possibilità al terapeuta di evidenziare alcuni primi elementi di sfondo.

Successivamente al racconto del sogno è possibile intervenire con la drammatizzazione, come modalità esperienziale che opera sul flusso di condotta.

Il Soggetto che ha prodotto il sogno diviene soggetto/sceneggiatore, oltre che attore e regista, del copione a cui dà vita nell’interazione con il gruppo e/o con il terapeuta e può entrare nell’attività di ristrutturazione della mappa emotiva e cognitiva che la rappresentazione di sé gli permette.

Nella drammatizzazione il sognatore inizia a scegliere i personaggi e gli oggetti che rappresenteranno le figure del sogno. Nel gioco delle parti, nell’espressione più profonda dei ruoli, nel loro mutamento e sviluppo drammatico, lo svolgimento della rappresentazione rievoca la trama della propria vita (o parte di essa); il processo svela il tessuto esistenziale agli occhi stessi del sognatore divenuto attore/osservatore. Il racconto della propria vita coincide con il destino personale, ma è anche la trama scelta che nella mente diviene destino: in quanto è l’identificazione con la propria storia che dà vita al sistema di credenze che orienta le scelte di un individuo e lo àncora a un carattere.

Le linee guida che danno forma all’intervento del terapeuta gestaltico

 

La drammatizzazione terapeutica parte quindi dalla analisi, in senso registico, sul testo del sogno: paziente, gruppo e terapeuta, con i loro diversi ruoli, diventano lo strumento che dà forma e muove il campo dinamico definito dal soggetto/sceneggiatore. A questo punto infatti, sia nella situazione di diade terapeutica che in quella di gruppo, il lavoro terapeutico coincide con il montaggio della azione del sogno. Il terapeuta diviene una sorta di accompagnatore empatico, che svolge la sua azione maieutica partendo dal principio che gli elementi del sogno sono definibili soltanto rispetto alla relazione con l’insieme come, per esempio, le note di una melodia.

Questi sono alcuni dei punti che l’intervento terapeutico prende in considerazione:

  •  Il lavoro sul sogno viene svolto considerando complessivamente qual è la sua funzione, la “richiesta”, l’impatto emotivo che ha nel suo insieme sul sognatore (es. frustrazione, esplosione, ecc.) e sulla relazione terapeutica;.

Il sogno offre materiale per la crescita personale e di intervento terapeutico a molti livelli: prima di tutto il racconto del sogno è una comunicazione svolta in una dimensione relazionale che è utile tenere presente. Nella scelta del tipo di intervento da portare avanti è importante considerare gli eventuali aspetti di richiesta e il messaggio che la narrazione del sogno ha nei confronti del terapeuta in quella fase del rapporto;

  • l’organizzazione e l’ordine interni del sogno in quanto campo dinamico (es. rapporti spaziali, di forza, di materia, di peso, di età, movimenti, ecc.);
  • le parti definite in relazione reciproca, incluso il paziente come sognatore, attore del sogno, e definite in rapporto all’insieme del sogno;
  • le figure del sogno definite in relazione al paziente come persona nella vita reale e come parti intrapsichiche.

Alcuni punti dell’intervento gestaltico sulla condotta

Nel lavoro gestaltico è fondamentale la definizione delle parti del sé e il loro processo di elaborazione (per es. il dialogo gestaltico nell’immaginazione guidata o nel role-playing), sempre nella reciproca relazione. In un certo senso l’intervento gestaltico si svolge lungo un processo di identificazione e disidentificazione con le polarità affettive che lottano in modo esplicito o negato/rimosso. È da precisare che questa modalità di intervento non è da considerare una semplice tecnica in quanto è l’applicazione pratica del “principio dialogico” 4 per cui sia le parti intrapsichiche, sia l’individuo in relazione all’ambiente, si determinano reciprocamente, nel contatto e nel confronto. Questa operazione rende manifesta la struttura relazionale che fa da sfondo all’Io inteso come figura emergente.

Del resto questa prospettiva è quella adottata dalla Gestalt anche nel trattare aspetti della vita reale; la differenza è solo che nel sogno — rispetto a un segmento di vita quotidiana — il quadro d’insieme è semplificato e i possibili “riferimenti dialogici” (cioè gli elementi che si sostengono e si determinano reciprocamente) sono spesso meno numerosi che nella realtà.

Supponiamo un sogno del tipo:

“Mi trovo sulla riva di un fiume c’è un ponte sospeso, molto lungo. Si avvicinano due persone mi sollevano da sotto le braccia e mi portano sul ponte. Mentre vengo trascinato mi accorgo che siamo seguiti da un asinello. Arrivati al centro del ponte su un lato del parapetto vedo un’apertura con un grande scivolo tipo acqua-park. Mi infilano in questa apertura scivolo giù e mentre scivolo guardo su e vedo l’asinello che si sporge.”

Una possibile articolazione di intervento a partire da alcune procedure chiave:

1. Figura-sfondo

Il primo passo che il terapeuta può compiere consiste nel guardare le parti del sogno per individuarne le relazioni con l’insieme. L’analisi del sogno totale è la funzione principale.

L’attenzione allo “sfondo” si traduce nel portare in evidenza ciò che è marginale o mancante: esperienze, oggetti, persone, vuoti di memoria. È necessario sottolineare che nella dialettica figura/sfondo l’elemento che emerge come figura è sostenuto dinamicamente dagli elementi dello sfondo, le figure che appaiono senza il sostegno dello sfondo rimandano immediatamente ad un’azione di omissione o negazione.

Il sogno, quindi, può essere esperito come un tutto, anche quando degli elementi specifici mancano o sono distorti.

Nell’esempio è evidente l’omissione del vissuto emotivo e delle sensazioni fisiche, che nella realtà accompagnerebbero una situazione così fortemente caratterizzata in senso fisico: essere sollevati, trascinati, scivolare ecc.. L’azione è raccontata senza partecipazione emotiva, come se accadesse ad un’altra persona.

Nel conflitto fra impulsi emozionali da un lato e razionalità dall’altro, il terapeuta cerca di far emergere gli aspetti emozionali del conflitto, orbitanti sostanzialmente attorno alla

paura/desiderio. Questo nel tentativo di creare, insieme al paziente, le condizioni che possano portare alla comprensione dall’”interno” del vissuto rappresentato, piuttosto che la razionalizzazione e la descrizione asettica e distaccata.

Un cambio di prospettiva, in questo caso operato dall’inserimento del vissuto emotivo anestetizzato o negato, aiuta ad uscire da un “equilibrio forzato” fra le parti a confronto, e a volte la stessa “topografia” del sogno, suggerisce le prospettive (esterne, al di sopra, intorno) che possono dare un senso più completo a quello che sta avvenendo “nell’azione onirica”.

Ad es. la collocazione e l’azione dei personaggi del racconto può rimandare alla posizione nel mondo del sognatore: per es. in quale modo nella vita si pone egli stesso come ponte tra due figure significative… In quale modo la sua condotta è caratterizzata da una scissione tra una dimensione alta e in qualche modo inibita (l’essere in alto sul ponte bloccato per le braccia) ed una bassa fluida e senza freni (lo scivolo verso il fiume)…

2. Il flusso emozionale

Riguarda sia il vissuto del soggetto durante l’evento del sogno sia quello delle parti che egli eventualmente interpreterà nel lavoro di drammatizzazione del racconto.

In questo caso il role-playing va sfruttato come vera e propria interpretazione in senso espressivo, per attingere a tutte le informazioni e suggerimenti che vengono dal corpo, dalla postura, dalla voce, dal respiro, come manifestazione emozionale, oppure per sensibilizzare il pz. allo spessore emozionale che, a volte, si può cogliere pienamente solo al di là delle parole, nelle manifestazioni non verbali.

Ad es. il protagonista durante l’interpretazione dei vari personaggi può manifestare, amplificare e prendere contatto con sensazioni ed emozioni omesse nel racconto. L’immedesimazione con i vari ruoli del sogno può dare “corpo” alla situazione di sospensione dai propri bisogni nel tentativo di tenere unite le due persone del sogno, che potrebbero essere diventate nella rappresentazione psicodrammatica, i genitori della realtà.

3. Essere nel presente

Equivale a rivivere il sogno piuttosto che a ricordarlo: questo significa anche cercare di ricreare il sogno, ma senza dimenticare che la situazione presente è quella della seduta, per cui, se l’azione in atto richiede modificazioni o altri interventi (introduzione di altri elementi, nuove persone e personaggi che si rivelano dietro i contenuti del sogno, ecc.) il filo migliore da seguire è quello dello stato emozionale presente nel setting e valutare eventualmente se c’è congruenza nei sentimenti: “evitamenti”, ripetizioni di “copioni” e “attaccamenti” (sentimenti che scattano “automatici” a difesa e copertura di altri che restano inespressi), ecc. La relazione terapeutica è il tramite reale dal quale partire per considerare il rischio del cambiamento ed è nel suo interno che la drammatizzazione viene svolta.

Per es. se e in quali termini il ponte con quello che avviene lungo le dimensioni alto/basso può rappresentare ciò che sta avvenendo nella relazione terapeutica…oppure durante la

drammatizzazione il protagonista potrebbe interrompersi rivolgendosi al terapeuta dicendo che gli sembra assurdo mettersi nei panni dell’asinello. Il rifiuto offre lo spunto per tradurre di nuovo il materiale onirico in una condotta quotidiana: ad es. la modalità con la quale in una situazione reale esprime, o vorrebbe esprimere, il rifiuto di assumere o riconoscersi in un determinato ruolo; oppure riconducendo la consapevolezza verso l’interruzione in se stessa per seguire il filo delle situazioni inconcluse che nell’esistenza di quell’individuo danno forma al suo “copione di vita”.

4. Assunzione di responsabilità

L’assunzione di responsabilità per la conduzione della propria esistenza, in particolare nella dimensione del sogno equivale anche ad estendere la consapevolezza; in questo senso ogni omissione o dimenticanza si presenta come una “scelta” di censura che impedisce la presa di coscienza ed esclude dalla comunicazione.

Nel sogno evidentemente le cose sono molto spesso accentuate, ingigantite, distorte ma proprio per questo riflettono in modo ancora più evidente i nostri meccanismi proiettivi. Lavorando sul sogno abbiamo l’opportunità non solo di scoprirli e di riconoscere la loro azione, ma proprio per la peculiarità del lavoro gestaltico, di riappropriarci delle parti di sé proiettate nelle figure del sogno, operando in direzione della loro reintegrazione e verso la ricomposizione della scissione che ne sta all’origine.

5. Confronto con la realtà

Ogni sogno è un universo a sé, ma il lavoro sul sogno in Gestalt comprende sempre anche una apertura, come abbiamo visto nel sogno considerato, un rimando alla realtà del soggetto. Quello che si può scoprire in una seduta psicoterapeutica costituisce il tramite fra il sogno e la vita reale; vuol dire in concreto trovare le corrispondenze fra gli elementi del sogno e il proprio modo di essere, tanto nell’affermare quanto nel negare le proprie caratteristiche.

La drammatizzazione nella terapia

 

La drammatizzazione permette, quindi, di giocare i propri ruoli e le dimensioni di sé nell’area protetta del setting.

Il paziente entrando nel come se del setting terapeutico inizia ad uscire dalla situazione di fissità emotiva o di visione della vita in bianco e nero, cioè senza mezzi toni, per cominciare a rendere fluido il gioco dei sentimenti, ritrovare la rabbia inespressa nel senso di colpa, la possibilità che amore e odio possono coesistere, scoprire insomma, l’infinita scala di grigi contenuti tra il bianco e il nero. Durante questo processo il paziente sviluppa la fluidità dei sentimenti insieme alla capacità di viverli diventandone consapevole, mentre sperimenta nella situazione finta 5 del come se psicoterapeutico, realmente, onestamente, le sue emozioni.

Questa sperimentazione simbolica, nel qui ed ora della terapia, di vissuti affettivamente reali ai quali possono seguire delle risposte diverse da quelle consentite dalla situazione originale, ormai passata e immutabile, permette di ristabilire la maturazione e lo sviluppo di quegli strumenti affettivi e cognitivi non disponibili al paziente nelle situazioni traumatiche originarie.

Il contatto con i propri reali bisogni e la comprensione che emerge dalle esperienze di drammatizzazione, possono permettere il superamento del fallimentare e ciclico tentativo di portare a termine le situazioni emotivamente ancora aperte del passato con gli strumenti affettivi e cognitivi tipici di quel passato.

L’intervento gestaltico, come fin qui descritto, focalizzato sulla dinamica della condotta, favorisce la ricerca di un ponte tra la “storia” vissuta nel sogno e il modo di condurre la propria esistenza, promuovendo la riorganizzazione del “sistema di credenze” e la riconsiderazione dei propri bisogni e motivazioni.

Il passaggio tra l’evento raccontato (ad es. il sogno), che come accennato prima è ormai fissato nella sua incompletezza — in quanto evento passato — e l’operazione di riattualizzazione svolta nella seduta psicoterapeutica, permette al paziente che “interpreta” se stesso, nel copione del sogno da lui sceneggiato, di chiudere le situazioni inconcluse della sua vita.

Viene così ad effettuarsi un rovesciamento temporale nel quale il paziente si trova a rendere consapevolmente presenti, attuali e quindi modificabili nel processo terapeutico, quelle situazioni con le quali trasforma inconsapevolmente il suo passato nella situazione presente

È proprio questo rovesciamento che permette il recupero del “senso” del proprio esistere che rende sperimentabile la modificazione della condotta, in questo modo possiamo parlare di intervento sul flusso della condotta come operazione reintegrativa.

* Psicologo psicoterapeuta, Presidente istituto “W. James”

Note

1 Nel senso foucaultiano di tecnologia del Sé cioè di tecniche adottate dal soggetto per agire su se stesso “che permettono agli individui di eseguire, coi propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima — dai pensieri, al comportamento, al modo di essere— e di realizzare in tal modo una trasformazione di se stessi” Foucault M. “Tecnologie del sé” Boringhieri, Torino 1992, pag. 13 2 “La condotta è definita come l’insieme e la successione delle operazioni (fisiologiche, motorie, verbali, mentali) attraverso le quali un organismo in situazione riduce le tensioni che lo motivano e realizza le sue possibilità. Ci si vuole in tal modo riferire al quadro unitario e multidimensionale, in cui la sinergia delle operazioni che compongono la condotta realizza una articolata unità, espressa dall’obiettivo fondamentale dell’organismo vivente, che è quello di conservare la propria esistenza come sistema unitario e di esprimere le proprie potenzialità” Venturini R., “Coscienza e cambiamento”, Cittadella Editrice, Assisi, 1995, pag.69.

3 Cfr. Lalli N. “Veglia – Sonno – Sogno” in Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria n° 30, Roma 1997, pagg. 20 – 25

4 Cfr. Buber M., Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1993.

5 Strano gioco di finzione nel teatro come nella psicoterapia, che viene illuminato dal paradosso di Gorgia, l’antico sofista, per il quale “la tragedia opera un inganno, per cui chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più sapiente di chi non è ingannato” (Colli G., “La sapienza greca”, Adelphi, Milano, 1981, Vol. I, pag. 48).

A prima vista l’uso del termine recitare nella terapia può indisporre, ma in un certo senso serve ripresentare, con onesta sincerità, i propri conflitti emotivi in una situazione in cui l’oggetto di quei conflitti non è presente o molto spesso non è più, perché ciò da vita ad una rappresentazione reale di una situazione ormai irreale.

Ad un livello questa rappresentazione ha valore se l’immedesimazione del paziente nelle sue emozioni, l’inganno come direbbe Gorgia, è piena e nello stesso tempo, ad un altro livello, l’espressione di quello che si ri-vive, la sua riformulazione verbale e non verbale nel contesto terapeutico permette un insight al paziente/attore tanto più grande quanto è stata grande la sincerità nell’espressione dei sentimenti con i quali accetta di entrare in contatto nella situazione di finzione terapeutica.

“L’essenza del teatro risiede nel sapere che di teatro si tratta, che si sta recitando, mettendo in scena, mimando, in una realtà che è del tutto finzione […] l’autenticità è nell’illusione, nel recitarla, nell’osservare in trasparenza dal suo interno mentre la recitiamo, come un attore che vede attraverso la sua maschera, e solo in questo modo può vedere” (Hilmann J., “Healing Fiction”, 1983; trad. it. “Le storie che curano”, Cortina, Milano, 1984, pagg. 50-51)

Bibliografia

Buber M., Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1993

Colli G., La sapienza greca, Adelphi, Milano, 1981

Hilmann J., Le storie che curano, Cortina, Milano, 1984

Lalli N., “Veglia – Sonno – Sogno” Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria n° 30, Roma 1997

Perls F., L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977.

Perls, Hefferline & Goodman: Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, Astrolabio, Roma, 1971.

Venturini R., Coscienza e cambiamento, Cittadella Editrice, Assisi, 1995.

Redazione IPGE
istitutogestaltespressiva@gmail.com