La Gestalt Espressiva

Introduzione alla Psicoterapia della Gestalt

La Psicoterapia della Gestalt è stata fondata da Friedrich Salomon (Fritz) Perls e dai suoi collaboratori, Laura Posner Perls e Paul Goodman, tra gli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso. Nel loro lavoro essi sintetizzarono alcuni approcci preesistenti e diverse tendenze culturali e intellettuali in una forma nuova, teoricamente e clinicamente raffinata e sofisticata ma, soprattutto, alternativa ai due principali modelli che in quel periodo dominavano il campo dei trattamenti psicoterapeutici: la psicoanalisi classica e il comportamentismo. La stessa Psicoterapia della Gestalt prende l’avvio da un processo di revisione della Psicoanalisi (Perls 1947) ma conquista in breve tempo una piena autonomia ed indipendenza da essa (Perls, Hefferline & Goodman 1951). L’approccio della Gestalt è di tipo umanistico ed esperienziale e, dunque, da un lato stimola lo sviluppo sia della consapevolezza del cliente sia delle sue capacità di giungere autonomamente a tale consapevolezza mentre, dall’altro, sottrae centralità ed importanza all’interpretazione dell’inconscio da parte dello psicoterapeuta. Nella terapia della Gestalt lo psicoterapeuta non è neutrale ma è attivamente e personalmente coinvolto con il cliente al fine di accrescerne la consapevolezza, la libertà, l’autonomia e la capacità di auto orientamento e rinuncia a predefinire qualsiasi obiettivo che non sia concordato e fondato nell’immediatezza del qui ed ora del rapporto con la specifica persona con cui è in relazione.

 

La Psicoterapia della Gestalt è nota per avere una ricca tradizione di trasmissione orale, mentre gli scritti non rifletterebbero appieno la quantità e la qualità degli sviluppi della teoria e della pratica terapeutica, anche perché si ritiene che il modello ed il metodo gestaltico possano essere appresi con efficacia soprattutto attraverso una didattica esperienziale. Tuttavia, già a partire dalla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso, vi è stata una crescita significativa nella produzione di letteratura relativa al modello della Gestalt. Oltre ai libri, infatti, esistono, al momento attuale, cinque riviste internazionali, in lingua inglese, che ospitano in prevalenza contributi di Gestalt:

 

  • International Gestalt Journal
  • British Gestalt Journal
  • Gestalt Review
  • Studies in Gestalt Therapy – Dialogical Bridges
  • Gestalt Journal of Australia and New Zealand

 

Alla diffusione del modello della psicoterapia della Gestalt, che in Italia è presente da circa trenta anni, hanno contribuito numerose iniziative di formazione professionale, che attualmente si esprimono attraverso una decina di Istituti diffusi su tutto il territorio nazionale. Tali iniziative risultano collegate ad associazioni professionali nazionali ed internazionali e/o ad autorevoli rappresentanti della disciplina provenienti dai Paesi nei quali la Terapia della Gestalt si è originariamente sviluppata, in particolare gli Stati Uniti d’America, dove sono presenti i tre principali orientamenti: la scuola dell’East Coast (l’Istituto di New York, che raccoglie l’eredità di Laura Posner Perls, Isadore Fromm, Paul Goodman), la scuola della West Coast (che raccoglie l’orientamento dell’ultima fase di Friedrich Perls e di suoi collaboratori quali Jim Simkin, Claudio Naranjo, Gary Yontef, Abraham Lewitzky) e la scuola di Cleveland (rappresentata da Joseph Zinker ed Erving e Miriam Polster).

 

Anche l’Europa ha assistito al progressivo espandersi ed approfondirsi del modello gestaltico ed annovera, aIlo stato attuale, una ricca distribuzione di iniziative qualificate e di realtà associative e di formazione specialistica, particolarmente in Inghilterra, Francia, Germania, Spagna, Svizzera, Belgio, Olanda, Polonia, Norvegia, Svezia. Gli Istituti Europei sono riuniti nella European Association for Gestalt Therapy (EAGT), a sua volta membro dell’ European Association for Psychotherapy (EAP) e della World Association for Psychotherapy.

 

Nella realtà Italiana, la Psicoterapia della Gestalt è rappresentata a livello associativo dalla Federazione Italiana delle Scuole e Istituti di Gestalt (F.I.S.I.G.). Scopo precipuo delle Federazioni è quello di stabilire i criteri di tutela degli standard qualitativi e quantitativi delle attività formative e di garantire la corretta definizione ed attuazione, da parte delle Scuole e degli Istituti federati, dei programmi di formazione alla pratica psicoterapeutica, alla docenza ed alla supervisione didattica e professionale.

Fondamenti della Gestalt

La Psicoterapia della Gestalt emerge dal crogiuolo culturale ricco e turbolento della prima metà del 900 e, in particolare, dal clima rivoluzionario che in quel periodo pervadeva la maggior parte dei campi del sapere, dalla scienza alla religione, dall’arte alla filosofia, dalla psicologia alla letteratura. L’operazione di integrazione e di ‘rifondazione’ condotta da Perls e dai suoi collaboratori nasceva dal bisogno di contemperare due differenti esigenze: da un lato, mantenere viva l’idea rivoluzionaria freudiana dell’esistenza nell’individuo di spinte e motivazioni che ricadono al di fuori della consapevolezza cosciente e, dall’altro lato, ricucire tale idea in un tessuto scientifico e culturale differente rispetto a quello da cui era emersa e in cui affondava le sue radici, ovvero quello psicoanalitico. Ai tempi di Perls, un vasto e fecondo insieme di nuove discipline stavano contribuendo a definire quella che, successivamente, sarebbe stata riconosciuta come la visione ‘umanistica’ della psicologia e, tra queste, spiccavano l’Olismo (Smuts 1926), la Psicologia della Gestalt (Koffka 1924, 1930, 1935; Köhler 1924, 1947; Wertheimer 1912, 1923a, 1923b), la Teoria del Campo (Lewin 1931, 1936), la Fenomenologia e l’Esistenzialismo (Buber 1923, 1965; Heidegger 1927, 1947, 1957; Husserl 1913; Kierkegaard 1843a, 1843b, 1844; Merleau-Ponty 1945).

 

Il rapporto con la Psicoanalisi

 

Se l’interpretazione dei sogni e l’elaborazione del transfert e della coazione a ripetere sono considerati elementi centrali della prassi freudiana (Freud 1900, 1905, 1916 – 1917, 1923, 1930), non diversamente nella Psicoterapia della Gestalt si procede elaborando i sogni, la relazione tra cliente e terapeuta e i comportamenti ripetitivi. Tuttavia, nella Gestalt muta radicalmente il metodo d’intervento perché cambia il significato attribuito ai fenomeni sopra descritti: il transfert è visto come assenza di contatto e non come proiezione; i comportamenti ripetitivi sono considerati come tentativi di chiudere una situazione rimasta incompiuta (unfinished business) più che come condotte finalizzate al controllo dell’ansia; l’elaborazione del sogno è, prima di tutto, una possibilità per scoprire e sperimentare altre parti di sé e non l’occasione per l’emergere del rimosso. In ogni caso, innegabilmente, numerosi e importanti sono i punti di distacco tra la Gestalt e la Psicoanalisi. Solo per citarne alcuni: il disconoscimento del primato della libido come realtà pulsionale primaria; la centralità del presente rispetto all’esperienza passata; il superamento della contrapposizione tra Es e SuperIo; il passaggio dalla dimensione conscio/inconscio a quella di consapevolezza/inconsapevolezza e, di conseguenza, il disconoscimento dell’inconscio come realtà psichica a sé stante, dotata di leggi proprie; il mutamento nella visione della relazione terapeutica, da una lettura in chiave transferale e interpretativa all’enfasi sugli aspetti di realtà e sulla qualità della interazione tra due soggettività. Tuttavia, pur nel processo di progressivo distacco da essa, la Psicoanalisi non cesserà mai di esercitare una rilevante influenza sulla psicoterapia della Gestalt. Ciò avvenne, ad esempio, anche attraverso l’opera di due degli psicoanalisti più ribelli ed eretici, ovvero Otto Rank e Wilhelm Reich (Rank 1927, 1941; Reich 1933). Sia l’uno che l’altro esaltavano l’importanza dell’esperienza cosciente, il ruolo del corpo come portatore di saggezza emotiva – ma anche la sua capacità di incarnare i conflitti – e il processo attivo di reciproco coinvolgimento nel lavoro analitico del terapeuta e del paziente nel qui ed ora del rapporto psicoterapeutico. Per quanto riguarda specificamente il contributo di Reich (Reich 1933), acquistò particolare rilevanza per Perls il concetto di ‘corazza caratteriale’, ovvero l’insieme degli atteggiamenti caratteriali tipici che un individuo sviluppa per bloccare le sue eccitazioni affettive, e che si esprimono nella rigidità del corpo e nella mancanza di contatto affettivo. Per Reich, il modo in cui una persona si muoveva o parlava era molto più importante dei contenuti del suo discorso: la corazza caratteriale si configura come un vero e proprio rigido schema comportamentale, posturale e di esperienze, che costringe l’individuo in ruoli sociali fissi e predeterminati. Nel lavoro di Rank (Rank 1927, 1941), invece, Perls apprezzò l’enfasi posta sul potere creativo e sull’unicità dell’individuo e la convinzione che il paziente sia il miglior terapeuta di sé stesso. Inoltre, è proprio in Rank che Perls individuò, per poi esaltarla nella sua teorizzazione, l’importanza attribuita al ‘qui ed ora’ della relazione psicoterapeutica.

 

È possibile rintracciare agevolmente nella teoria della psicoterapia della Gestalt altre rilevanti influenze di matrice psicoanalitica: da Jung (Jung 1912, 1921, 1934), per l’ampliamento del concetto di libido, il rapporto dinamico tra polarità e il significato evolutivo del sintomo, ad Adler (Adler 1914, 1925, 1927, 1931)principalmente per l’assimilazione del processo terapeutico a quello educativo; da Ferenczi (Ferenczi 1952; Ginger 2005) che introduce gli esercizi sul radicamento (grounding) e di contatto con il paziente sotto forma di esperienze riparatrici, alla Klein (Klein 1948, 1957)che riconosce un ruolo centrale alle pulsioni orali e rivolge l’attenzione alle risposte emotive del terapeuta e alle dinamiche di interazione tra oggetti interni e parti scisse; dalla Horney (Cavaleri 1990; Horney 1942, 1945)per la rilevanza attribuita all’ambiente e per il riconoscimento dei «benefici secondari» che il comportamento nevrotico consente di ottenere, a Winnicott (Winnicott 1965, 1971a, 1971b) per la tecnica dello holding e l’attenzione agli ’oggetti transizionali’, spesso utilizzati in Gestalt per facilitare il contatto con personaggi ‘presentificati’ (Ginger & Ginger 1987).

 

È opportuno anche ricordare che, a partire dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso (Bocian & Staemmler 2000) si è sviluppato un intenso dibattito interdisciplinare dovuto al crescente interesse reciproco tra Psicoanalisi contemporanea e Psicoterapia della Gestalt. Questo è avvenuto anche grazie al fatto che il movimento psicoanalitico ha progressivamente rivalutato l’opera di diversi psicoanalisti dissidenti che, emarginati o esclusi dall’ortodossia, hanno potuto sostenere le loro posizioni proprio all’interno della Gestalt. Il riavvicinarsi e il ‘riconoscersi’ delle due posizioni è stato possibile probabilmente perché, come afferma Bocian, “la terapia della Gestalt rimane figura su uno sfondo fatto di storia, corpo teorico e pratica della Psicoanalisi” (Bocian 2009, p. 61).

 

La Psicologia della Gestalt, l’Olismo e la Teoria del Campo

 

Per comprendere il contesto nel quale Perls entrò in contatto ed assimilò, integrandoli in un insieme originale, alcuni concetti chiave della Psicologia della Gestalt, dell’Olismo e della Teoria del Campo, è opportuno ricordare che nel 1926, a Francoforte, egli fece parte del gruppo di assistenti di Kurt Goldstein, direttore dell’Istituto di Neurologia e dell’Istituto per la ricerca sulle conseguenze delle lesioni cerebrali. Nello stesso tempo, Laura Posner, che di lì a poco diventerà la moglie di Perls, conduceva le sue ricerche di dottorato presso l’Istituto di Psicologia della stessa città, sotto la guida di Max Wertheimer, Wolfgang Köhler, Friedrich Schumann e Ademar Gelb, che era uno stretto collaboratore di Goldstein. Fu, inoltre, nello stesso gruppo di ricerca che Perls scoprì e apprezzò gli studi di Kurt Lewin.

 

La Psicologia della Gestalt è una scuola psicologica fenomenologica che rivolge la sua attenzione all’esperienza percettiva. Secondo i gestaltisti, la percezione dipende dai pattern formati dagli stimoli e dall’organizzazione dell’esperienza. Convenzionalmente si fa risalire la nascita della Psicologia della Gestalt alla pubblicazione degli studi di Wertheimer sul fattore ‘phi’ (1912) al quale sarebbe da attribuire la percezione degli stimoli come configurazioni organizzate, continue e dotate di significato. Dal momento che l’organismo non coglie singoli stimoli ma configurazioni di stimoli, l’unità minima significativa di stimolazione è la configurazione stessa e non una singola parte di essa. Quest’ultima, se isolata in seguito alla scomposizione del tutto unitario di cui è parte, non potrebbe sottrarsi al medesimo destino della configurazione ‘madre’, divenendo, a sua volta, scomponibile in parti, ovvero configurazione di elementi ‘atomici’. Oltre a ciò, quando qualsiasi configurazione si presenta incompleta o discontinua il percipiente tende a rappresentarsela intera e unitaria (Köhler 1922; Wertheimer 1925). Tutte queste e molte altre caratteristiche della percezione umana – compreso il fenomeno delle ‘figure ambigue’, ovvero immagini nelle quali, variando in genere il punto di vista, è possibile percepire almeno due diverse figure – sono la conseguenza dell’organizzazione del processo percettivo secondo una serie di leggi di segmentazione del campo visivo (di ‘unificazione formale’, secondo Wertheimer). In linea di massima, i fattori che favoriscono l’unificazione sono: vicinanza, somiglianza, continuità di direzione, direzionalità e orientamento, chiusura, pregnanza e coerenza strutturale, articolazione senza resti ed esperienza passata. Nel corso del tempo, gli psicologi della Gestalt intensificarono le ricerche sperimentali al fine di provare la validità del loro modello della percezione, spostando decisamente il focus dell’attenzione sui fattori neurofisiologici che spiegano sia le leggi di segmentazione del campo visivo sia la formazione delle gestalt. In ogni caso, l’influenza della psicologia della Gestalt sul percorso formativo e sulla produzione teorica di Perls e dei suoi collaboratori fu enorme. Tuttavia, si deve precisare che non poca parte di tale influenza fu esercitata indirettamente, attraverso le opere di autori che avevano già iniziato a traslare alcuni principi della psicologia della Gestalt in ambiti ‘altri’ rispetto a quello della percezione.

 

“Ciò che mi affascinava era l’approccio gestaltico. Per la prima volta si abbandonava la dissezione e si otteneva una prospettiva. E Kurt Goldstein fu il primo a rivoluzionare la neurologia, appunto a partire dalla psicologia della Gestalt” (Perls 1968, p. 19). Come testimoniato da questa affermazione, Perls apprese e apprezzò la Psicologia della Gestalt a partire dal lavoro di Goldstein, di cui fu assistente per un breve periodo. Secondo Goldstein, l’essere umano è caratterizzato da un unico vero istinto, che presiede tutti gli altri ed organizza l’intero comportamento: l’impulso all’auto realizzazione (Goldstein 1939). Il fine ultimo del comportamento umano non è ridurre la tensione ma interagire con l’ambiente e realizzare le proprie potenzialità. Goldstein descrive l’istinto di autorealizzazione come la tendenza creativa della natura umana, attraverso la quale l’individuo dispiega il suo potenziale e dà prova delle sue capacità nel mondo reale. Attraverso i suoi studi neurologici, Goldstein ebbe modo di osservare accuratamente, su un gran numero di combattenti e di reduci di guerra, gli effetti della compromissione di specifiche funzioni cognitive, in seguito a danni cerebrali. Sulla scorta di tali osservazioni formulò alcune teorie del funzionamento cognitivo, tra cui quella secondo la quale una persona si esprime ed utilizza il linguaggio in un modo rappresentativo del suo pensare e del suo fare esperienza: prestare attenzione a come un individuo parla abitualmente può condurre ad importanti scoperte sulla sua organizzazione cognitiva. Inoltre, furono proprio le ricerche in ambito neurologico a convincere Goldstein che qualsiasi comportamento umano coinvolga sempre l’organismo nella sua totalità e non singole parti di esso (Goldstein 1939, 1940). La prospettiva olistica nella teoria della psicoterapia della Gestalt venne rafforzata anche dall’influenza che il pensiero di Jan Smuts (1926) ebbe sugli studi di Perls. Nella prospettiva evoluzionistica di Smuts, ogni esperienza “non coinvolge soltanto sensazioni e percezioni, ma anche concetti di carattere più complesso, sentimenti e desideri relativi all’obiettivo da raggiungere, e scelte rispetto all’azione pianificata; e tutti questi elementi sono uniti e mescolati all’interno di un unico scopo, che è quindi inserito nell’azione o esecuzione”(Smuts 1926, p. 258). Anche la correlazione tra il metabolismo fisico e quello psichico è un’intuizione che Perls riprende da Smuts: “Come l’assimilazione organica è necessaria alla crescita animale, così l’assimilazione intellettuale, morale e sociale diventa il fatto centrale per lo sviluppo e l’autorealizzazione della personalità”(Perls 1947, p. 105).

 

L’altro grande ‘mediatore’ – rispetto all’influenza della psicologia della Gestalt – a cui Perls fece riferimento diretto fu Kurt Lewin. Utilizzando le ricerche che furono condotte nell’ambito della fisica delle forze elettromagnetiche da Faraday, Hertz, Einstein e Maxwell, Kurt Lewin (1931, 1935, 1936) sviluppò il modello noto come Teoria del Campo. Secondo tale teoria, ogni oggetto può essere compreso solo in relazione al contesto nel quale è inserito. La traslazione operata da Lewin dal campo delle forze fisiche di attrazione/repulsione ai comportamenti osservabili nei piccoli gruppi, fu ripresa da Perls e applicata a quanto avviene all’interno del singolo individuo. Nella Teoria del Campo il mondo è considerato come una rete sistematica di relazioni, continua nel tempo, e non come un insieme di particelle discrete o dicotomiche. Ne consegue che nulla è statico e tutto è in costante trasformazione. La realtà si configura attraverso la relazione tra chi osserva e ciò che è osservato, definendosi non solo come un mero ‘fatto’ oggettivo ma anche come funzione di una prospettiva di osservazione. Per questa via è possibile ammettere l’esistenza e la legittimità di molteplici realtà. Più precisamente, secondo l’intuizione di Lewin, qualsiasi evento psichico è l’espressione di un dinamismo che intercorre tra l’organismo e l’ambiente circostante e che si sviluppa all’interno del campo sopra descritto. Nei termini della psicologia della Gestalt, il campo è lo sfondo di una mappa rappresentazionale all’interno della quale emergono, di volta in volta, figure differenti ma salienti rispetto agli scopi dell’organismo: sono i bisogni ad organizzare il campo. Ciò implica che uno stesso elemento può essere percepito come più o meno saliente, più o meno significativo, in relazione ai bisogni dell’individuo in quel particolare momento. Se dunque la percezione è selettiva ed è organizzata in base al bisogno attuale del soggetto e al modo in cui esso interagisce con l’ambiente e se l’obiettivo dell’individuo è quello di risolvere i problemi connessi al soddisfacimento dei bisogni, appare chiaro che il problem solving orienta la percezione, consentendo di individuare nell’ambiente circostante le gestalt pregnanti e, quindi, ‘buone’, ovvero quelle più adatte a soddisfare il bisogno attualmente in figura nell’organismo. Vale la pena di accennare anche al fatto che l’approccio di Lewin è fondamentalmente ‘antistorico’, perché ignora deliberatamente i fattori genetici o la storia precedente dell’individuo (indispensabile nell’interpretazione freudiana), limitandosi a considerare lo stato attuale del campo psicologico ‘immediato’: in ogni momento, possono essere identificate, nel campo psicologico individuale, le varie forze presenti che influenzano la motivazione e il comportamento. Proprio a partire da Lewin, dunque, si fa strada una concezione del rapporto causale tra individuo e ambiente di tipo circolare e non più lineare come in tutti i modelli precedenti.

 

La Fenomenologia, l’Esistenzialismo e l’approccio fenomenologico – esistenziale

 

La Psicoterapia della Gestalt ha introdotto molti concetti nell’ambito delle psicoterapie umanistiche. Uno di questi riguarda la partecipazione fenomenologica all’esperienza e il modo in cui il terapeuta e il cliente fanno esperienza l’uno dell’altro nella relazione terapeutica. Nell’approccio fenomenologico la realtà emerge nella relazione tra l’osservatore e l’osservato: non è un dato definito a priori e una volta per tutte ma è, piuttosto, una ‘interpretazione’. La fenomenologia nasce come metodo di indagine obiettiva della realtà, allo scopo di costruire una conoscenza che colga le caratteristiche invarianti dei fenomeni studiati. Essa implica una conoscenza sovra sensoriale o categoriale che colga l’essenza del fenomeno o l’ordine preciso che lo sostiene. L’approccio fenomenologico esistenziale specifico della psicoterapia della Gestalt è un’integrazione tra la fenomenologia esistenziale di Edmund Husserl e la fenomenologia della Psicologia della Gestalt. Husserl (Husserl 1913) sviluppò il metodo fenomenologico come un modo per separare le invarianti dell’esperienza dagli elementi interpretativi che vi si sovrappongono (Spinelli 1989). Tutti i fenomeni mostrano delle regolarità che appaiono in combinazioni e sequenze ripetute. Tali regolarità possono essere descritte e modellizzate al fine di fornirne una spiegazione e permetterne il controllo e la predizione. La conoscenza scientifica non è altro che la costruzione di modelli che tentano di spiegare le regolarità dei fenomeni. È, inoltre, impossibile trascendere il nostro modo di conoscere e comparare ciò che appare (fenomeni) con ciò che è, ovvero l’essenza degli oggetti (noumeni). Nel processo fenomenologico operano tre regole fondamentali: la prima, e la più importante per la psicoterapia della Gestalt, riguarda il ruolo dell’epoché: sospendere ogni speculazione sulla verità o falsità di una qualsiasi interpretazione della realtà; la seconda concerne la descrizione: la realtà va descritta e non interpretata, il che significa fornire una descrizione imparziale delle impressioni immediate e concrete di ciò che accade; la terza, detta della parità, tratta dell’orizzontalizzazione: evitare qualsiasi assunzione gerarchica in merito all’importanza relativa di ciò che viene descritto. Separando l’esperienza dall’interpretazione e considerando la descrizione dettagliata di una data esperienza, è possibile valutare il peso dell’evidenza ed avanzare una serie di ipotesi che permetteranno di selezionare quella che, meglio di ogni altra, è in grado di spiegare i dati. Una tale ‘apertura’ all’esperienza consente una maggiore flessibilità, dal momento che ogni costrutto teoretico avrà validità solo fino a quando risulterà essere la spiegazione più consistente e comprensiva dei fatti per come appaiono. La traslazione del metodo fenomenologico nel setting terapeutico richiede che lo psicoterapeuta osservi attentamente il modo in cui il cliente si rivela (la scelta delle parole, lo stile narrativo, il linguaggio corporeo, il tono della voce, il tono emozionale, etc.). In base a ciò, il terapeuta suggerisce possibili esperimenti o esplorazioni che amplifichino determinati aspetti del contenuto narrato e può fare chiarezza sulle connessioni tra diversi elementi dell’esperienza riportata dal cliente. Di particolare rilevanza, come accennato sopra, è il principio dell’epoché: al terapeuta non interessa se il cliente racconta la verità sulla sua storia bensì il significato che egli attribuisce a ciò che racconta. Pertanto, il compito terapeutico è, almeno parzialmente, ermeneutico. Più complessa è l’applicazione terapeutica del principio di parità: se nella conoscenza scientifica l’attribuzione di pari importanza ai dati è, entro certi limiti, possibile, questo non è altrettanto praticabile e, persino, desiderabile nella relazione terapeutica. Ciò impedirebbe, infatti, di costruire il senso di quel che avviene con il cliente o di intervenire in modo costruttivo nel processo terapeutico. Pertanto, per quanto il principio di parità costituisca un orientamento importante per il terapeuta, esso è soggetto a distorsioni intenzionali a fini terapeutici. Piuttosto, il principio di parità (equality) riguarda maggiormente l’atteggiamento dello psicoterapeuta nei riguardi dei suoi stessi insight, impressioni, ipotesi di lavoro e significati che emergono dal lavoro terapeutico: lo psicoterapeuta non aderisce rigidamente ad alcuno di essi né si ‘aggrappa’ a categorie diagnostiche o a procedure predefinite: nella psicoterapia della Gestalt fenomenologico esistenziale l’assessment del cliente è continuo e continuamente oggetto di revisione nel corso del processo terapeutico.

 

Il passaggio dalla fenomenologia di Husserl al metodo fenomenologico in Gestalt si è compiuto in gran parte attraverso l’influenza della versione esistenzialista della fenomenologia elaborata da Heidegger, della originale teorizzazione di Buber sul tema dell’Io-tu, oltre che del valore di unicità attribuito alla verità autentica di ogni persona presente nella filosofia di Kierkgaard. L’approccio ‘umanistico’ di Heidegger alla fenomenologia (Heidegger 1947) rappresenta il tentativo di una descrizione fenomenologica dell’Essere a partire da una rappresentazione fenomenologica dell’essere umano, da Heidegger definito come ‘esser-ci’ (Heidegger 1927). Secondo il filosofo tedesco, gli esseri umani avvertono la sensazione di essere – letteralmente – ‘gettati’ nelle situazioni in cui si trovano, situazioni che paiono essere, a partire dalla nascita, del tutto accidentali e prive di qualsiasi altro apparente significato. Uno dei compiti più rilevanti nella vita delle persone è quello di attribuire senso all’esistenza attraverso le concrete vicende della vita per come vengono vissute: l’esistenza è priva di significato, di per sé. Nel corso dello sviluppo, le persone scoprono altri tipi di ‘essenze’: oggetti che sono semplicemente nell’ambiente senza nessuno scopo o utilità, e oggetti che sono a portata di mano e possono essere utilizzati. Le persone possono scegliere di utilizzare questi oggetti per costruire il senso della loro esistenza, così come possono decidere di perdersi nei propri affari per evitare di fare i conti con la realizzazione di quel senso. La differenza tra l’essere e l’esser-ci (Heidegger 1927)risiede nel fatto che ciascun individuo non può essere indifferente ai suoi simili, cioè a coloro che condividono con lui sia il destino dell’essere ‘gettati’ nel mondo sia il compito di ricercarne il senso. Sebbene sia innegabile l’unicità di ciascuno, che ne fa ‘questo-essere-umano-qui-ed-ora’, è altrettanto incontrovertibile che gli individui siano inestricabilmente connessi gli uni con gli altri, attraverso relazioni che hanno implicazioni importanti sui loro atteggiamenti e sui loro comportamenti. Ogni ‘esser-ci’ è sempre un ‘essere-con’. È certamente possibile considerare le cose non umane solo per ciò che in esse vi sia di utile ma è impossibile non sentirsi debitori verso un qualunque altro ‘essere-con’ di un atteggiamento di cura e di preoccupazione: le persone sono fonti originarie di valore.

 

Su un’impostazione teoretica del tutto simile si colloca il pensiero di Martin Buber (Buber 1923, 1965), per il quale il fatto fondamentale della vita umana è il suo essere relazionale: “Tutte le vite reali sono incontro” (Buber 1923, p. 11) e la modalità primaria e basilare dell’esistenza consiste nell’ ‘Io-tu’, ovvero quella relazione nella quale ciascuno riceve la rivelazione unica dell’altro. Attraverso il lavoro di Buber, teologo ebreo e sostenitore del principio secondo cui Dio si trova nell’incontro con l’altro (Buber 1965), Perls introduce nella psicoterapia il tema della spiritualità, come elemento fondamentale della ricerca di senso dell’esistenza e della qualità della vita delle persone, al di là ed oltre la cura della psicopatologia e la risoluzione del sintomo.

La Gestalt Espressiva

La Psicoterapia della Gestalt si sviluppa durante la fioritura, in ambito artistico, dell’Espressionismo (Bocian, 2012) e Friedrich Salomon Perls, fondatore e ideatore dell’approccio gestaltico, fu un frequentatore appassionato di arte e di attività artistiche, prevalentemente musicali e teatrali.

 

Infatti sia Friedrich Perls che sua moglie Laura – così come molti dei continuatori dell’approccio gestaltico – non esitarono, in innumerevoli occasioni, sia ad introdurre tecniche derivate direttamente dalle discipline artistiche sia ad utilizzare veri e propri mediatori artistici all’interno delle sedute terapeutiche. In uno dei suoi primi articoli (1977), Perls descrive il suo lavoro terapeutico con uno scultore in trattamento presso di lui per alcuni importanti disturbi. Invitandolo a scolpire – letteralmente – i suoi problemi e ad accantonare temporaneamente l’espressione verbale, Perls facilitò l’affiorare alla consapevolezza del paziente di ambiti della sua vita interiore sino ad allora esclusi dal livello narrativo linguistico. Laura Perls racconterà, diversi anni più tardi, in che modo la sua conoscenza della poesia contemporanea le fu di aiuto nella terapia di una giovane schizofrenica che, totalmente silente nelle prime sedute, iniziò a comunicare con lei unicamente attraverso la sua produzione poetica. L’introduzione dell’enactment, ovvero la drammatizzazione, come insieme di tecniche terapeutiche peculiari del modello gestaltico (la celebre “sedia vuota”, la più famosa delle tecniche gestaltiche, è una forma di drammatizzazione) proviene dalla convinta e appassionata frequentazione dell’arte da parte dei Perls, ed è principalmente dovuta alla constatazione dei benefici riscontrati dalla sua applicazione nel contesto terapeutico, soprattutto con i pazienti caratterizzati da maggiori difficoltà nel verbalizzare il malessere e il disagio. Non solo la tecnica della sedia vuota è stata ripresa anche da altri approcci teorici ma è ad oggi una delle tecniche la cui efficacia è stata maggiormente studiata.

 

Espressione e gioco

 

La netta distinzione tra ‘agire’ ed ‘esprimere’, così come la proibizione di ogni agito e la valorizzazione dell’espressione di sé sono presupposti fondamentali di qualsiasi tipo di psicoterapia. Sigmund Freud insisteva sulla necessità di distinguere l’agire dal parlare e l’acting out, che rappresenta l’agire contrapposto al pensare (e non, dunque, il pensiero tradotto in azione) è il proibito per eccellenza nella prassi psicoanalitica: “Quanto maggiore è la resistenza” scriveva Freud “tanto maggiore è la misura in cui il ricordare viene sostituito dal mettere in atto” (1914). La psicoterapia non può ospitare gli acting out, qualunque sia il modello teorico di riferimento: quando l’agire è liberamente al servizio della soddisfazione delle pulsioni, si instaura immediatamente la legge del più forte, che priva automaticamente il più debole di qualsiasi possibilità espressiva. Il principale contributo teoricamente sistematizzato da cui la Gestalt attinge riguardo all’importanza della creatività per la salute mentale e l’autenticità degli individui è di Donald Winnicott. Per Winnicott (1971), il gioco è la situazione in cui è possibile la massima espressione della creatività e il lavoro terapeutico ha lo scopo di ripristinare la capacità di gioco dell’adulto attraverso la sovrapposizione delle aree di gioco del paziente e del terapeuta.

 

In Gestalt, le tecniche espressive sono considerate strumenti fondamentali per esplorare le possibilità della dialettica reciproca e costruttiva tra individuo e ambiente che è nota come adattamento creativo. Come già accennato sopra, la creatività e l’utilizzo della drammatizzazione occupano un posto centrale nel processo terapeutico di tipo gestaltico sin dalle sue origini. Secondo Laura Perls, “la psicoterapia è tanto un’arte quanto è una scienza. Al buon psicoterapeuta, l’intuizione e l’immediatezza dell’artista sono tanto necessari quanto la formazione scientifica” (1982). La psicoterapia della Gestalt espressiva pone una particolare enfasi sulla stretta analogia esistente tra la creatività impiegata nel processo artistico e quella sprigionata nel processo terapeutico. Principalmente da questa assunzione procede la possibilità di mettere concretamente a disposizione del paziente tecniche e mediatori che ne facilitino l’espressione.

 

La relazione giocabile

 

Nella psicoterapia della Gestalt la relazione terapeutica, ovvero la relazione tra due soggettività, è dichiaratamente lo strumento determinante della terapia: la relazione è la forma (gestalt) o il campo al cui interno si opera il cambiamento. La Gestalt Espressiva amplia il piano della modulazione della relazione terapeutica su due livelli: il terapeuta inserisce, promuove e facilita lo spazio di giocabilità delle risorse del paziente, mentre il paziente stesso contatta, nel campo relazionale, le possibilità giocabili nella relazione tra le parti di sé e con l’altro. Per giocabilità si intende l’opportunità cognitiva, emotiva e relazionale di accogliere, contenendole, tutte le istanze psichiche, comprese quelle vissute come troppo pericolose o minacciose per poter essere attuate nella propria vita di relazione. Giocabilità va intesa come gioco attraverso le abilità: il gioco costruisce abilità tanto quanto per giocare è necessario poter attingere alla proprie risorse trasformandole in abilità. La giocabilità, inoltre, contiene anche un elemento di contrattazione tra me e l’altro, ovvero di mediazione e condivisione tra l’io e il mondo: per giocare nella relazione è necessario che almeno qualche elemento sia reso condiviso o condivisibile. Nella Gestalt Espressiva la forma della relazione è il primo atto creativo che si instaura quando terapeuta e paziente si “espongono” l’uno all’altro. La forma che la relazione assume nell’incontro, nel mettersi in gioco reciprocamente, è la prima forma di espressione: rendersi visibili all’altro implica un rendersi percepibili e questo è già un atto di rischio esistenziale, differente dalla routine strutturata della quotidianità. La giocabilità coincide con la possibilità di sperimentare visioni diverse rispetto al proprio copione di vita, mettendo in atto e verificando possibilità esistenziali nuove. Il gioco entra nella sua forma di allusione della realtà emotiva e relazionale, facilitato dal terapeuta con il suo invito ad esporsi e accolto dal paziente nel momento in cui accetta di condividere qualcosa di sé.

 

Metodologia della Gestalt Espressiva

 

Dal punto di vista metodologico, l’utilizzo della drammatizzazione o di mediatori si configura come un ‘esperimento’, condotto attraverso una o più tecniche riconducibili all’enactment (letteralmente: messa in atto). Il role playing, la simulata, la sedia vuota, la video e fototerapia (Rossi, 2009), il lavoro sul sogno, il lavoro sul corpo, il lavoro con mezzi artistici (collage, poesia, scultura, musica) e la narrazione di sé possono rappresentare, per uno specifico paziente, compatibilmente con il suo background esistenziale, le sue preferenze e i suoi bisogni, e all’interno di uno specifico contesto che le giustifichi, mezzi importanti e, talvolta, insostituibili per l’espressione di sé e l’esplorazione/sviluppo di strategie di problem solving guidate dal pensiero creativo.

 

La creatività nella relazione

 

La creatività è definita anche come la capacità di vedere nuove connessioni fra i dati della realtà. Da questo punto di vista, la psicoterapia sembra essere un processo che determina la creatività. Tra la memoria di sé e il dimenticare sé stessi si apre lo spazio e si amplia il respiro della creatività. Sapere di essere e dimenticarlo permette di entrare nel flusso dell’atto creativo perché in quel momento l’istante dà forma al tempo. Nella relazione terapeutica, l’atto creativo prevede un’operazione di distanziamento o destrutturazione dello stato di coscienza ordinario in quanto l’atto creativo ha bisogno dell’esperienza pregressa ma anche della possibilità di uscire dai suoi limiti. Nell’avventura esplorativa delle possibilità diverse, altre e alternative è possibile immettere o lasciare irrompere il nuovo nella quotidianità del proprio esistere. Questa operazione è spesso caratterizzata da una sorta di stato senza tempo, non perché il tempo cessi di contenere l’azione ma perché l’atto creativo ha una sorta di propria temporalità: l’insight riempie l’istante di capacità trasformative dilatandone l’effetto nel tempo. In questo senso, l’atto creativo, nel momento in cui si materializza, cambia forma al modo di vivere il tempo, cioè l’essere nel mondo. Il processo terapeutico, che si sviluppa nel tempo, quando accoglie la possibilità creativa del paziente spezza la circolarità ripetitiva nevrotica, offrendo la possibilità di riorientare le proprie scelte esistenziali in direzioni diverse dal copione di vita abituale.

 

La relazione terapeutica tra arte e neurofisiologia

 

I tempi attuali ospitano, da ormai quasi venti anni, una considerevole e crescente fioritura di studi scientifici che esplorano i reciproci rapporti tra la creatività, l’arte, i processi cognitivi e la neurofisiologia. La mole crescente di ricerche condotte con metodo rigorosamente sperimentale al fine di individuare le basi neurofisiologiche e neuro anatomiche del pensiero creativo (Zeki, 1999), la scoperta dei neuroni specchio e le sue conseguenze per la comprensione del rapporto corpo – cervello, dell’intersoggettività (Gallese, 2006), dell’empatia, nonché le ricadute sulle pratica psicoterapeutica (Gallese, Migone, & Eagle, 2006), e, infine, la fondazione di una disciplina come la neuro estetica, già ospitata in alcuni importanti corsi universitari nel mondo, iniziano a fornire basi teoriche solide e scientificamente fondate ad un insieme di tecniche, metodologie e pratiche psicoterapeutiche che, fino a poco meno di un decennio fa, erano considerate prive di adeguato supporto empirico.

Teoria della Personalità

Concetti principali

 

La teoria della personalità propria della Psicoterapia della Gestalt si è sviluppata lungo tutto il corso della sua storia e presenta elementi di non immediata comprensione, dovuti principalmente al fatto di essere stata edificata su un mutamento paradigmatico, ovvero il passaggio da una concezione di linearità causale dei processi psichici ad una prospettiva più complessa, di tipo circolare, fondata originariamente sulla Teoria del Campo. Secondo la psicoterapia della Gestalt nessun organismo può essere considerato indipendentemente dalle sue relazioni con l’ambiente e al di fuori del campo organismo-ambiente di cui è parte. Ciò vale, a maggior ragione e bidirezionalmente, per gli individui: come ciascun essere umano non può essere significativamente compreso se non all’interno delle sue relazioni interpersonali, così la descrizione di qualsiasi ambiente non può che coincidere con la percezione – e con la prospettiva soggettiva – di chi quell’ambiente osserva: la ‘percezione oggettiva’ è una contraddizione in termini. Ciò che ne discende, nel trasferire questa prospettiva alle istanze intrapsichiche, è che non abbia alcuna utilità – o significato – parlare di ‘sé’, perlomeno quando non sia inteso nell’accezione di ‘sé in relazione’. In questo senso, il contatto è non solo un elemento centrale di qualsiasi esperienza, dal momento che senza contatto non è possibile esperire alcunché, ma è anche ciò che sta a fondamento sia del processo di formazione sia dei meccanismi di funzionamento della personalità.

 

Il campo è definito dai suoi confini e il ‘confine di contatto’ ha una duplice funzione: da un lato permette alle persone di entrare in relazione; dall’altro, consente l’individuazione e il mantenimento della separazione di ciascuno da ciascun altro. La totale assenza di contatto emotivo o, al contrario, la completa ‘con-fusione’ emotiva nelle relazioni interpersonali sono causa di disagi gravi e profondi. L’entrare in contatto permette di soddisfare un gran numero di bisogni biologici, sociali e psicologici, così come la separazione consente non solo di mantenere l’autonomia e di proteggere contro le intrusioni pericolose ma anche permette ai bisogni di contatto di manifestarsi con pienezza e chiarezza. È attraverso le funzioni di contatto e di separazione che l’individuo stabilisce i suoi confini e costruisce la propria identità. La crescita e lo sviluppo della personalità, guidate dal principio di autoregolazione, procedono attraverso esperienze di contatto nelle quali l’individuo apprende a differenziare ciò che è utile per sé da ciò che è dannoso (Polster & Polster 1973). I processi che consentono di effettuare tale differenziazione sono il contatto e la consapevolezza: “il contatto è la consapevolezza della novità assimilabile e il comportamento assunto nei suoi confronti, nonché il respingimento della novità non assimilabile” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 393). Il confine di contatto è il luogo in cui si forma la funzione ‘sé’: “il Sé è il sistema dei contatti nel campo organismo-ambiente, e questi contatti costituiscono l’esperienza strutturata della situazione reale e attuale. Non è il Sé proprio dell’organismo in quanto tale, e non è neppure il recipiente passivo dell’ambiente” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 384). I gestaltisti articolano il sé in 3 differenti aspetti: la funzione es del sé, “un dato sfondo che si dissolve nelle sue possibilità, comprese le eccitazioni organiche, situazioni inconcluse del passato” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 433), la funzione personalità del sé, ovvero il risultato dell’assimilazione organismica dei contatti precedentemente avvenuti, e la funzione Io del sé, “il progressivo identificarsi con e alienarsi da parti di sé e dell’ambiente, grazie all’uso della volontà”(Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 432). Il funzionamento psichico dell’individuo è descritto dal modo in cui entra o non entra in contatto con il proprio ambiente. Si deve comunque tenere presente che, per quanto Perls e Goodman abbiano definito il sé come il confine di contatto in funzione e abbiano ad esso dedicato relativamente ampio spazio, nelle elaborazioni successive della teoria (Naranjo 1991; Simkin 1978; Wheeler 1991, 2004) tale concetto perde progressivamente rilevanza per lasciare più ampio spazio all’olismo e alla consapevolezza.

 

La teoria della psicoterapia della Gestalt ritiene che le persone siano naturalmente capaci di autoregolazione, sensibili al contesto e guidate dalla motivazione a risolvere i propri problemi. L’autoregolazione organismica e l’esperienza del contatto sono inscindibili dal processo che determina l’organizzazione del campo ovvero lo “strutturarsi dell’organismo e dell’ambiente sulla base della percezione di un bisogno emergente, di una situazione incipiente o incompiuta”(Cavaleri 2010, p. 73). I bisogni e i desideri dell’organismo hanno un’organizzazione gerarchica tale per cui i più urgenti acquistano la precedenza e richiamano l’attenzione sino a che non ottengono soddisfazione. Una volta che un bisogno sia stato soddisfatto, ne emerge uno nuovo che richiede attenzione e soddisfazione. Un corollario al concetto di autoregolazione organismica è quello della formazione della Gestalt. Secondo la psicologia della Gestalt, come detto sopra, gli individui percepiscono totalità unificate attraverso il fenomeno del contrasto: una figura di interesse si forma in contrasto rispetto ad uno sfondo relativamente monotono e sfumato. Inoltre, per quanto l’alternanza figura sfondo possa essere talvolta molto rapida, gli individui possono percepire una sola figura alla volta. Secondo Perls, la qualità più importante e interessante di una gestalt è la sua dinamica, la necessità imperiosa che la porta a chiudersi e a completarsi. Da un punto di vista clinico, la qualità della figura (vivacità, chiarezza, pregnanza) rivela la funzionalità dei processi di simbolizzazione, di consapevolezza e di gerarchia dei bisogni; di converso, lo sfondo risulta essere composto da ciò che, pur non immediatamente percepito, è certamente connesso a ciò che è in figura, rendendolo possibile: ciò che non si conosce non è più in un luogo ‘altro’ e lontano ma appartiene, temporalmente e spazialmente, alla dimensione dell’esperienza. Da tutto ciò è agevole comprendere il motivo per il quale l’adattamento della Psicologia della Gestalt ad una teoria del funzionamento della personalità abbia segnato un divario radicale con la psicoanalisi, in particolare rispetto ai concetti di conscio e inconscio. Nella teoria della psicoterapia della Gestalt, il concetto psicoanalitico di inconscio è sostituito da quello di consapevolezza o, più precisamente, dalla polarità consapevolezza/inconsapevolezza. Coerentemente con i principi gestaltici della percezione, qualsiasi elemento che sia, in un dato momento, confuso nello sfondo, può emergere repentinamente in figura: ciò che era inconsapevole diviene consapevole. Nel paziente nevrotico, alcuni aspetti del campo fenomenico sono deliberatamente e regolarmente relegati nello sfondo. Per quanto questo concetto sia, grossolanamente, paragonabile a quello dell’inconscio dinamico freudiano, tuttavia in ambito gestaltico non è preso in considerazione un processo primario inconscio che richieda l’interpretazione dell’analista per essere pienamente comprensibile dal paziente.

 

Da quanto finora esposto, si comprende in che modo sia stato costruito il concetto di ‘funzionamento sano’ nella teoria della psicoterapia della Gestalt. La persona sana, che non subisce le interferenze dovute a situazioni irrisolte, può entrare autenticamente in contatto con l’ambiente in cui si trova e realizzare una soddisfacente osmosi con l’ambiente circostante. Nell’autoregolazione organismica sana, l’individuo è consapevole dell’alternarsi dei bisogni, di modo tale che ciò che acquista rilevanza è la figura che, di volta in volta, si presenta alla consapevolezza: “Primo piano e sfondo devono essere facilmente intercambiabili, secondo le esigenze del mio essere. Se così non è, abbiamo accumulazione di situazioni non finite, di idee fisse, di rigida struttura caratteriale. Ai confini avremo turbe del sistema dell’attenzione: confusione, perdita di contatto, incapacità di concentrarsi e di coinvolgersi” (Perls 1947, p. 16). Il funzionamento sano richiede di essere in contatto con ciò che, nel qui ed ora, accade nel campo persona-ambiente. Essere consapevoli di ciò che emerge e permettere all’azione di organizzarsi in base a ciò che emerge è necessario per interagire con il mondo e per apprendere dall’esperienza. L’individuo sano, in Gestalt, è un individuo che sperimenta: provando qualcosa di nuovo rispetto all’abituale si impara a distinguere tra comportamenti funzionali e disfunzionali nelle diverse situazioni e nei differenti contesti. Da tutto ciò consegue che un disturbo della consapevolezza o del contatto consiste, principalmente, nell’impedire ad una specifica figura di emergere. Nell’individuo nevrotico il flusso dell’interazione con l’ambiente è ostacolato dal continuo ripresentarsi di situazioni di blocco e di interferenza. A volte, il miglior nome che si può dare ad una gestalt incompleta è quello di ‘situazione inconclusa’. Il lavoro terapeutico consiste nel far emergere le gestalten incompiute (unfinished businesses) per favorirne la naturale evoluzione.

 

Se il contatto è consapevolezza del campo, nella teoria gestaltica le relazioni umane e la consapevolezza non sono distinguibili. La consapevolezza si sviluppa nella prima infanzia attraverso una matrice di relazioni che prosegue per l’intero ciclo di vita. Riprendendo Buber, “la vita è incontro” (Buber 1923, p. 11) e non esiste ‘Io’ che non sia in relazione con altri: vi è solo l’ ‘Io’ dell’ ‘Io-Tu’ o dell’ ‘Io-esso’.

 

Altri concetti essenziali della teoria della personalità nella Gestalt

 

In condizioni ottimali, vi è un movimento ed un flusso continuo tra contatto e separazione. Quando l’esperienza del contatto o, al contrario, quella della separazione sono ripetutamente bloccate, si determinano due disturbi del confine di contatto che sono, rispettivamente, l’isolamento e la confluenza. L’aspetto patologico consiste nella fissità, nella rigidità dell’evitamento – del contatto o della separazione – e nell’impedire ad un intero insieme di bisogni di emergere. Un altro disturbo del confine di contatto è l’introiezione, ovvero la connessione senza consapevolezza. Gli introietti sono elementi inglobati ma non pienamente integrati o assimilati nel funzionamento dell’organismo: “Un introietto è come un mattone sullo stomaco” (Quattrini 2011, p. 65). Al contrario, l’assimilazione è quel processo attraverso il quale l’oggetto con cui si entra in contatto viene identificato e decostruito al fine di trattenere ciò che di esso è utile e di scartare ciò che non lo è.  Anche la proiezione, che consiste nell’attribuire erroneamente ad altri i propri fenomeni interni nel tentativo di evitare di farne esperienza, e la retroflessione, ovvero la trasformazione di un impulso o di un desiderio proprio di una relazione duale in un evento tra sé e sé, sono disturbi del confine di contatto; in particolare, nella retroflessione l’azione non si dispiega nell’ambiente nel tentativo di manipolarlo per soddisfare i propri bisogni ma si dirige verso di sé, in quanto bersaglio del proprio comportamento.

 

Nella psicoterapia della Gestalt, il disturbo psichico consiste nell’incapacità di formare chiare figure di interesse, di identificarsi con l’esperienza per come essa si presenta, momento per momento, e/o di rispondere con pienezza a ciò di cui si è consapevoli. In genere, le persone i cui processi di contatto e di consapevolezza siano interrotti, hanno condotto gran parte della loro esistenza in ambienti cronicamente deficitari, che hanno compromesso le loro capacità di adattamento creativo. Secondo Perls “il contatto è l’adattamento creativo dell’organismo e dell’ambiente” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 230): tutti gli organismi vivono in un ambiente al quale devono necessariamente adattarsi ma, al tempo stesso, le persone hanno la necessità di plasmare l’ambiente al fine di conformarlo ai bisogni e ai valori umani. Il termine ‘adattamento creativo’ riflette l’equilibrio creativo tra la manipolazione dell’ambiente e l’adattamento alle condizioni attuali. Dal momento che la relazione è l’unica possibilità di ‘essere-nel-mondo’ delle persone, esse devono bilanciare l’adattamento alle richieste ambientali situazionali con la creazione di qualcosa di nuovo e di coerente con i propri personali interessi, in un continuo sforzo di mutua e reciproca negoziazione tra se stessi e il contesto di riferimento. Anche il ciclo di formazione di una Gestalt – il processo attraverso il quale un bisogno emerge in figura, viene soddisfatto e quindi recede sullo sfondo mentre un nuovo bisogno si presenta all’attenzione – richiede un adattamento creativo e la salute individuale è strettamente connessa con la capacità di percepire un campo organizzato con chiarezza. Una Gestalt ben individuata emerge limpidamente da uno sfondo relativamente indistinto. La salute e la maturità personale presuppongono sia un processo di formazione delle Gestalt che funzioni in modo fluido e libero sia una bassa interferenza di ansie, inibizioni o abitudini attentive selettive sui processi di contatto e consapevolezza. Quando, ad esempio, l’emersione dei bisogni in figura avviene così rapidamente da prevenirne, impedendola, la soddisfazione, si avranno disturbi di tipo isterico, mentre, al contrario, il succedersi eccessivamente lento delle Gestalt produrrà comportamenti tipicamente compulsivi. Tuttavia, anche l’autoregolazione nevrotica deve essere considerata come il risultato di un adattamento creativo che si è compiuto in un dato momento nel passato e che non è stato riconfigurato in relazione alle mutate condizioni del campo, ovvero personali e ambientali. L’autoregolazione nevrotica è una modalità di funzionamento alternativa e contrapposta all’autoregolazione organismica. La sua prevalenza nel disturbo psichico è dovuta al fatto che il cliente non ha alcuna fiducia nelle istanze di autoregolazione che gli si presentano nel qui ed ora; la causa di ciò risiede nell’uso sistematico e ripetuto di modalità di comportamento proprie di contesti non più attuali, e dunque inefficaci, che erodono l’abilità di rispondere consapevolmente ai problemi sperimentati dal sé presente nel campo attuale. I cosiddetti ‘doverismi’ (shoulds) sottraggono risorse e spazio all’autoregolazione organismica, dal momento che rappresentano tentativi di controllare e gestire l’esperienza, nell’incapacità di accettarla.

 

L’esperienza, in realtà, non è altro che una figura in relazione ad uno sfondo. La relazione tra figura e sfondo può anche essere descritta in termini polari e l’esistenza stessa è un campo dominato dalle polarità[1] (ad esempio: vita/morte, forza/fragilità, contatto/separazione, etc.) che, seguendo i principi dell’autoregolazione organismica, si alternano in modo fluido, bilanciando continuamente il loro equilibrio. Al contrario, nell’autoregolazione nevrotica, dal momento che alcuni elementi presenti sullo sfondo devono essere tenuti al di fuori della consapevolezza, le polarità tendono all’irrigidimento, trasformandosi in dicotomie e dando luogo a conflitti che tendono alla cristallizzazione e, perciò, insanabili. Ciò conduce direttamente a prendere in considerazione il concetto di resistenza nella psicoterapia della Gestalt. In termini generali, la resistenza è un’espressione cruciale dell’integrità organismica e consiste nel processo cognitivo ed emotivo che impedisce l’emergere di una figura dallo sfondo. Tuttavia, la Gestalt contemporanea riconosce alla resistenza una rilevanza molto minore rispetto alla Gestalt delle origini, giungendo, in alcuni casi, a contestarne la legittimità all’interno della stessa teoria: Breshgold (1989) ritiene che il concetto di resistenza sia incompatibile con gli attuali principi teoretici della terapia della Gestalt; Frew (2008)con una venatura ironica e polemica, ne tratta come di un concetto utilizzato per quei clienti che non fanno ciò che lo psicoterapeuta si aspetta da loro; Polster e Polster (1976)suggeriscono che sia più opportuno per il terapeuta osservare ciò che accade nel qui ed ora, invece di cercare di far accadere qualcosa; Maurer (2005) apprezza la resistenza come un adattamento creativo ad una situazione, un processo da rispettare e da prendere seriamente più che da superare. Tipicamente, le resistenze si manifestano quando il cliente, raggiunta una minima consapevolezza della propria rigida identificazione con uno solo dei due estremi di una polarità, non si sente sicuro che il contesto attuale sia sufficientemente diverso da permettergli di modificare il suo adattamento ‘dicotomizzato’: “Il contatto è possibile solo nella misura in cui è disponibile un supporto per esso […] Il supporto consiste in qualsiasi cosa faciliti la continua assimilazione e integrazione dell’esperienza per una persona, una relazione o una società […] La funzione essenziale per il supporto è la respirazione”(Perls 1992, pp. 132-133). Un supporto adeguato è funzione sia dell’auto-supporto (es.: capacità respiratoria) sia del supporto ambientale (es.: aria). “La mancanza di supporto essenziale è esperita come ansia” (Perls 1992, p. 154). Perls definì l’ansia come un eccitamento senza supporto (Perls 1947; Perls, Hefferline & Goodman 1951) la cui origine può essere cognitiva o essere determinata da abitudini respiratorie inadeguate. L’ansia di origine cognitiva deriva sia dal trascurare il presente per concentrarsi sul futuro (futurizing) sia da predizioni negative, interpretazioni erronee o credenze irrazionali. La respirazione, invece, genera ansia quando la fase di espirazione non è sufficientemente lunga e il sangue ossigenato non può raggiungere gli alveoli a causa della insufficiente espulsione di aria carica di biossido di carbonio. Il metodo della terapia della Gestalt insegna al cliente a padroneggiare l’ansia cognitivamente e fisicamente attraverso l’acquisizione di consapevolezza cognitiva e corporea. Un caso estremo di ansia si verifica quando la persona si trova nella condizione di non poter godere sia dei supporti consueti sia di nessun nuovo supporto, sperimentando così una condizione esistenziale di terrore (impasse). Compito del terapeuta è di accompagnare il cliente nell’esplorare tale condizione senza soccorrerlo, da un lato, e senza avvilirlo, dall’altro, ma predisponendo le condizioni che incoraggino la piena sperimentazione della situazione di blocco. Questo facilita il contatto con le frustrazioni e la loro accettazione più che il perseverare nel desiderio di modificare ciò che si è.

 

[1] La possibilità di descrivere il rapporto figura/sfondo e, conseguentemente, il ciclo del contatto in termini di polarità, fu colta da Perls nel lavoro di Salomon Friedlander (1918) per il quale “un fenomeno è percepibile ed apprezzabile quando si pone come opposto a qualcos’altro; deve essere differente da qualche altra cosa”. Nella teoria della Gestalt, tutte le scelte si pongono lungo un continuum tra un estremo ed un altro. Tuttavia, i poli non vanno considerati come possibilità mutualmente escludentesi, ma come unità di opposti (Frambach 2003). Il processo decisionale consiste nel porre sé stessi più vicino ad un polo rispetto ad un altro; tuttavia, dal momento che le coppie di opposti sono estremi di un unico continuum, quanto più ci si colloca in prossimità del punto medio tra essi, tanto più risulta difficile la differenziazione di uno dall’altro. In Friedlander questo punto è chiamato di “indifferenza” (p. 118) e consiste nel dissolvimento delle polarità o nella loro trasformazione in un ordine di comprensione più alto. Nella teoria della Gestalt esso coincide con lo stato di “indifferenza creativa”, ovvero l’esperienza del passaggio dal “vuoto sterile” al “vuoto fertile”(Perls 1968), il luogo in cui cessa la produzione di significati e inizia l’”esser-ci”.

Metodologie e Tecniche

I principi metodologici della psicoterapia della Gestalt

 

La Psicoterapia della Gestalt non è tradizionalmente inclusa tra quelle ‘goal-oriented’, ovvero orientate all’obiettivo. Tuttavia, esiste una finalità generale, propria di ogni psicoterapia condotta in ambito gestaltico, che coincide con la consapevolezza e l’ampliamento delle possibilità di scelta. L’aumento di consapevolezza non si riferisce soltanto ai contenuti, ma anche ai processi (consapevolezza della consapevolezza) ovvero alla capacità del cliente di utilizzare le sue abilità per fronteggiare le perturbazioni lungo il processo di incremento della consapevolezza stessa. L’aumento della consapevolezza può avvenire quando si verificano alcuni presupposti: l’autoconoscenza, la conoscenza dell’ambiente, l’assunzione di responsabilità per le proprie scelte, l’auto-accettazione, la capacità di contatto.

 

La Psicoterapia della Gestalt non focalizza la sua attenzione sulla rimozione del sintomo ma nemmeno si limita a parlare del disagio; essa utilizza attivamente la relazione terapeutica e un insieme di metodi per aiutare il cliente a raggiungere il grado di auto-supporto necessario a risolvere i suoi problemi (Quattrini 2011). Pertanto, la psicoterapia consiste più in un’esplorazione che in un tentativo ‘lineare’ di modificare il comportamento. Il metodo consiste nel coinvolgimento diretto, che discende dal concetto di contatto: dal momento che il contatto è il mezzo attraverso il quale è possibile vivere e crescere, l’esperienza vissuta ha quasi sempre la precedenza rispetto alla spiegazione. Lo psicoterapeuta fornisce appoggio e supporto attraverso la relazione, mostrando al cliente in che modo i suoi problemi ostacolino la sua consapevolezza e il suo funzionamento. Nel procedere del percorso psicoterapeutico, è inevitabile che il focus dell’attenzione del terapeuta e del cliente si ampli sino a inquadrare temi connessi con la personalità più in generale. Il successo della psicoterapia è dato dalla misura in cui il cliente riesce a guidare gran parte del processo, e ad integrare le capacità di problem solving, gli aspetti della relazione terapeutica stessa e la regolazione del proprio processo di consapevolezza.

 

Per quanto la psicoterapia della Gestalt non possa essere considerata come orientata all’obiettivo, “a causa della complessità del lavoro terapeutico, è essenziale che possieda una metodologia rigorosamente fondata […]. Le sei componenti metodologiche che noi consideriamo vitali o intrinseche alla terapia della Gestalt sono: (a) il continuum dell’esperienza, (b) il qui ed ora, (c) la teoria paradossale del cambiamento, (d) l’esperimento, (e) l’incontro autentico, (f) la diagnosi orientata al processo” (Melnick & Nevis 2005, pp. 102-103).

 

Il continuum dell’esperienza consiste in uno schema illustrativo dell’organizzazione ideale dell’esperienza. Esso costituisce un riferimento per l’osservazione, da parte del terapeuta, del modo in cui il cliente struttura l’incontro e per trarre riferimenti importanti sul processo diagnostico. Pertanto, il continuum dell’esperienza è lo schema di un incontro ideale. Le deviazioni che naturalmente ciascun individuo compie rispetto a tale schema, costituiscono il suo specifico modo di vivere l’incontro con l’altro e sono prodotte dall’adattamento creativo tra ciò che è disponibile al momento nel campo dell’esperienza e la capacità di mobilitare le proprie risorse per ottenere ciò di cui si ha bisogno. Il processo del continuum è innescato da una sensazione che, raggiunto il livello della consapevolezza e attivato il processo di eccitamento, spinge all’azione per contattare l’ambiente in un modo che assicuri delle probabilità di soddisfazione. La riflessione sull’esito, positivo o negativo, dell’azione conclude il continuum. In altri termini, la consapevolezza del qui ed ora conduce a conoscere ciò che si vuole e ad agire per ottenerlo ed, infine, a riflettere sull’intera esperienza. Il continuum dell’esperienza, o ciclo del contatto, assume rilevanza clinica quando si verificano delle interruzioni che possono collocarsi: a) al livello della sensazione (inibizione della percezione sensoriale), b) al livello della presa di decisione (incapacità di articolare ciò che si vuole), c) al livello motorio (riluttanza all’azione o, al contrario, agire troppo velocemente), d) al livello della riflessione (scarso apprendimento dall’esperienza).

 

Qualsiasi apprendimento e qualsiasi esperienza avvengono nel presente, che include necessariamente l’esperienza e gli apprendimenti passati e contiene le basi per influenzare il futuro. La psicoterapia della Gestalt privilegia il momento attuale e lavora con i dati presenti nel qui ed ora della relazione terapeutica. Di fronte ad un comportamento caratteristico del cliente che si manifesta nel corso della seduta, il terapeuta della Gestalt orienta l’esplorazione sulle determinanti attuali di quel comportamento, più che sulle cause ‘storiche’ che ne hanno provocato il radicamento nell’esperienza passata. Il fatto che il cambiamento avvenga nel presente e che, dunque, l’attenzione sia rivolta al presente, non comporta però disinteresse per i meccanismi o le circostanze che hanno indotto lo sviluppo di specifici pattern di interazione. Accade frequentemente che, nel corso del lavoro terapeutico, sia il cliente stesso a connettere il passato con il presente, individuando i collegamenti tra il lavoro terapeutico e le proprie precoci esperienze di vita.

 

L’assunto secondo il quale “il sé si trova e si produce unicamente nell’ambiente” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 248) è il presupposto del principio paradossale del cambiamento: “il cambiamento avviene quando uno diventa ciò che è, non quando tenta di diventare ciò che non è. Il cambiamento non avviene attraverso il tentativo coatto fatto da una persona o da qualcun altro di cambiare o di cambiarlo, ma si verifica se quella persona si permette il tempo e lo sforzo [necessari] per essere ciò che è, per essere pienamente centrato nella sua attuale posizione” (Beisser 1970, p. 77). Tutte le teorie psicoterapeutiche sono orientate al cambiamento ma differiscono tra loro riguardo ai processi in esso coinvolti. In Gestalt, è la consapevolezza ad avere un ruolo centrale e la gran parte di ciò che avviene nella relazione terapeutica consiste nel riportare alla consapevolezza pensieri, sentimenti, emozioni, gesti, credenze e memorie. Tale processo costituisce il fulcro del cambiamento e la sua natura, più che paradossale, è logica: la consapevolezza produce trasformazione. Come sostenuto da Beisser, “per guarire una sofferenza questa va sperimentata pienamente” (Beisser 1970, p. 78). Il ‘materiale’ dell’esistenza è, ad esempio, il camminare, il mangiare, il conversare: il ‘materiale’ dell’esistenza è il suo contenuto. Lo sfondo dell’esistenza consiste nei suoi processi e se vi è la necessità di modificare condotte disfunzionali, il paradosso consiste nel portarne i processi sottostanti alla consapevolezza, per conoscerli approfonditamente. Solo una volta compiuta questa operazione è possibile il cambiamento.

 

Per quanto non ve ne sia sempre una piena consapevolezza, tutta la vita è, realmente, un esperimento dal momento che, qualsiasi scelta si decida di compiere, il risultato è sempre sconosciuto o perlomeno incerto. “Esperimento deriva da esperire, provare. Un esperimento è un tentativo o un’osservazione particolare fatta per confermare o confutare qualcosa di dubbio, specialmente sotto condizioni determinate dallo sperimentatore; un’azione o un’operazione intrapresa al fine di scoprire alcuni principi o effetti sconosciuti o di testare, stabilire o illustrare alcune verità sconosciute proposte, prove pratiche, dimostrazioni” (Perls, Hefferline & Goodman 1951, p. 12). Nella psicoterapia della Gestalt, cliente e terapeuta possono sperimentare differenti modi di pensare e di agire al fine di raggiungere una comprensione più genuina oltre che un cambiamento nel comportamento. Come in qualsiasi ricerca, l’esperimento è progettato per ottenere più dati rispetto a quelli di partenza. Nella Gestalt, i dati consistono nell’esperienza fenomenologica del cliente. L’esperimento non costituisce, di per sé, il cambiamento ma ha lo scopo di ampliare la consapevolezza del cliente sulle possibilità di modificazione che può permettersi di intraprendere.

 

Allo psicoterapeuta della Gestalt è richiesto di fare due cose contemporaneamente: da un lato, osservare le modalità dello svolgersi della seduta terapeutica, prestando attenzione sia alle aree funzionali del comportamento del cliente sia a quelle disfunzionali, sulle quali si concentrerà il lavoro terapeutico; dall’altro lato, essere disponibile per una relazione autentica, dal momento che il contatto genuino è un bisogno umano fondamentale. Il concetto buberiano di ‘Io-Tu’ (Buber 1923) che è a fondamento del compito richiesto allo psicoterapeuta della Gestalt di considerare l’altro come una persona e non come un oggetto, richiede di lavorare sempre in ‘presenza di sé stessi’, ovvero di essere concentrati sul qui ed ora, di essere consapevoli di sé e di condurre sé stessi nel campo della relazione terapeutica. Ciò non significa essere trasparenti al cliente ‘in assoluto’ ma, piuttosto, essere trasparenti ‘al servizio del cliente’. Se al cliente è richiesto di imparare ad essere consapevole e genuino al servizio della sua crescita personale, al terapeuta è richiesto di essere genuino e selettivamente trasparente nella misura in cui ciò sia considerato utile alla crescita personale del cliente. Qualsiasi altra consapevolezza del terapeuta che non rispetti questo requisito è tenuta al di fuori della seduta. Il tema dell’autenticità attribuisce al terapeuta la responsabilità di essere altamente consapevole delle tematiche controtransferali attuali e potenziali (Melnick 2003). Poiché l’autenticità relazionale è un nutrimento psicologico essenziale per crescere e dato che lo psicoterapeuta della Gestalt utilizza sé stesso come strumento di un contatto genuino, risulta comprensibile quanto la pratica della supervisione sia fondamentale nella psicoterapia della Gestalt.

 

Il terapeuta raccoglie i dati di osservazione e valuta i punti di forza e di debolezza del cliente nello strutturarsi del ciclo del contatto, individuando la traiettoria del lavoro necessario e gli obiettivi desiderati della terapia, e ciò implica la formulazione di una diagnosi. In Gestalt, la diagnosi consiste in un processo continuo di esplorazione tra cliente e terapeuta e nello sviluppo di una relazione autentica nel corso del tempo. La valutazione continua, che consente di orientare, di volta in volta, l’attenzione su temi e istanze delle quali il cliente è, in tutto o in parte, inconsapevole, consente di aprire sempre nuovi possibili percorsi terapeutici che sono verificati prevalentemente attraverso l’uso dell’esperimento. Pertanto, la diagnosi non è l’apposizione di un’etichetta o l’individuazione di un disturbo specifico ma, piuttosto, la descrizione di un processo e l’identificazione di una direzione da esplorare.

 

Il processo, i meccanismi e le tecniche della psicoterapia

 

La psicoterapia della Gestalt ha, probabilmente, la più ampia gamma di stili e modalità rispetto a qualsiasi altro indirizzo terapeutico, per il fatto che la relazione terapeutica, ovvero la relazione tra due soggettività, è dichiaratamente lo strumento determinante della terapia. Le terapie possono essere a breve e a lungo termine e possono essere individuali, di coppia, familiari o di gruppo; le tecniche utilizzate variano in quantità e qualità e così la frequenza delle sedute, lo stile terapeutico, ‘confrontativo’ o compassionevole, il focus sul corpo, sull’aspetto cognitivo, su quello emotivo o sulla relazione interpersonale, l’opportunità di lavoro su temi di interesse psicodinamico, l’accento sul dialogo e sulla presenza e così via. In ogni caso, tutti gli stili terapeutici in Gestalt condividono l’enfasi sull’esperienza diretta e sullo sperimentare, sull’uso del contatto diretto e della presenza personale e sul porre il focus dell’attenzione nel qui ed ora della relazione. Inoltre, è, in genere, nel corso della prima seduta che lo psicoterapeuta effettua una valutazione diagnostica sui punti di forza e di debolezza delle abilità di contatto del cliente, ne analizza le capacità di auto sostegno e avanza le prime ipotesi sullo stile di personalità.

 

Tutte le tecniche in psicoterapia della Gestalt sono considerate esperimenti (Mann 2010), ma le tecniche in sé stesse hanno un’importanza relativa: qualsiasi esperimento coerente e congruente con i principi della psicoterapia della Gestalt può essere utilizzato.

 

La tecnica impiegata più frequentemente è la semplice focalizzazione (focusing), la cui forma base prototipica consiste nel chiedere al cliente cosa stia sperimentando nel qui ed ora della relazione, e che può assumere diverse varianti (cosa stia sentendo, cosa stia pensando, cosa stia provando, e così via). L’uso appropriato di questa tecnica, tuttavia, non è altrettanto semplice quanto la sua applicazione, poiché ha a che fare con il continuum della consapevolezza e con la capacità dello psicoterapeuta di cogliere i ‘momenti chiave’ nello svolgersi di tale continuum. In termini descrittivi, un momento chiave si verifica quando il cliente interrompe, per una qualsiasi ragione e in qualsiasi modo, la continuità del flusso della consapevolezza prima che il ciclo del contatto sia completato. Lo psicoterapeuta deve sapere riconoscere gli indicatori che segnalano l’interruzione del contatto e, a seconda delle circostanze e dell’opportunità del momento, proporre la focalizzazione. Anche il cosiddetto ‘stare con [quello che c’è]’ è una forma di focalizzazione: il cliente viene incoraggiato a prolungare il contatto con il sentimento o l’emozione espressa, costruendo così la capacità di approfondire la sua esperienza con un determinato vissuto e con le sue articolazioni. La drammatizzazione (enactment) è un’altra tecnica frequentemente utilizzata nel setting psicoterapeutico e consiste nel trasformare i sentimenti e i pensieri nelle loro rappresentazioni. Una delle forme più celebri – esportata anche in altri modelli terapeutici – dell’applicazione di questo metodo è la tecnica della sedia vuota, che ha lo scopo di far contattare al cliente ragioni, pensieri, sentimenti ed emozioni di due parti o istanze in conflitto, con l’obiettivo non solo o non tanto di risolvere il conflitto stesso ma di ‘dialettizzarlo’ ed evitarne la cristallizzazione o la paralisi – dovuta all’identificazione rigida con una sola delle due parti – che è l’aspetto realmente patogeno (Stevens 1977). In diversi casi la visualizzazione di un’esperienza può essere però più efficace della drammatizzazione: le fantasie guidate e l’immaginazione guidata permettono di esplorare o esprimere emozioni difficilmente verbalizzabili così come consentono di approfondire immagini che spontaneamente si presentano alla consapevolezza del cliente. L’uso delle fantasie guidate offre anche l’opportunità di espandere le capacità e le tecniche di auto supporto del cliente e, in tal senso, sono alquanto sfumati i confini con le vere e proprie tecniche meditative, mutuate dalle psicoterapie di origine orientale e frequentemente utilizzate in ambito gestaltico. Altre tecniche impiegate sono l’amplificazione (accentuazione di ciò che si sta già facendo, secondo il principio dell’autoregolazione organismica, per il quale ogni sbilanciamento in un verso tenderà ad essere compensato nell’altro), il rovesciamento (dinamizzazione del rapporto figura-sfondo), il completamento (la focalizzazione dell’attenzione su ciò che manca nell’esperienza di sé), l’autoresponsabilizzazione (sostituzione della terza persona con la prima persona nella narrazione o, anche, trasformazione del ‘Io devo’ in ‘Io voglio’ o ‘Io scelgo’), il ponte emozionale (una forma di stare con, nella quale il cliente, con l’attenzione rivolta ad una specifica emozione, è invitato ad utilizzare la memoria episodica per esplorare le immagini delle situazioni del passato in cui tale emozione è stata presente), la ridecisione del copione di vita (suddiviso in fasi: a) individuazione del vissuto emotivo avvertito come inadeguato (eccessivo nell’intensità, nella durata, nella natura dell’emozione) che caratterizza la situazione problematica; b) regressione progressiva, attraverso la tecnica del ponte emozionale, fino a raggiungere il ricordo più antico in cui è apparso quel vissuto; c) scissione dello stato dell’Io (in termini transazionali) in Genitore/Adulto/Bambino e attualizzazione immaginativa di quella situazione arcaica; d) revisione della decisione esistenziale presa allora attraverso una ricontrattazione, ora possibile con gli strumenti dell’Adulto mentre ‘rivive’ nell’immagine quell’esperienza) (Rossi 1998).

 

Un breve cenno a parte può essere fatto per ciò che riguarda le tecniche di lavoro con il sogno in Gestalt che, in termini generali, possono essere raggruppate in tre diversi tipi di approcci: a) il sogno come metafora (una tecnica in questo ambito consiste nel segmentare la narrazione del sogno in molte brevi frasi di senso compiuto, ciascuna delle quali, in un secondo tempo della narrazione, viene completata con l’espressione ‘e questa è la mia vita’; b) il sogno come frammento di una narrazione più ampia; c) il teatro del sogno (consiste nella drammatizzazione del sogno ovvero nella sua messa in scena dopo che è stato narrato) (Rossi 1997).

Validità Scientifica

Il dibattito sull’evidenza scientifica dei trattamenti psicoterapeutici si è aperto più di venti anni fa, inizialmente negli Stati Uniti per poi estendersi rapidamente nel resto del mondo, ed ha avuto come primo risultato, nel 1995, la pubblicazione da parte della Divisione 12 (Psicologia Clinica) dell’APA di una lista iniziale di ‘trattamenti empiricamente validati’ (Empirically Validated Treatments, EVT) (Task Force on Promotion and Dissemination of Psychological Procedures 1995). Il criterio fondamentale per l’inserimento di una pratica psicoterapeutica all’interno di tale lista consisteva nella possibilità di applicare il paradigma sperimentale dello studio clinico controllato randomizzato (Randomized Controlled Trials, RCT) alle tecniche utilizzate nella pratica in esame, al fine di verificarne l’efficacia. Il paradigma dello studio clinico controllato randomizzato prevede l’assegnazione casuale dei pazienti ai gruppi clinico e di controllo, valutatori ‘ciechi’, manipolazione delle tecniche, controllo delle variabili ‘estranee’ (nel caso delle psicoterapie, ad esempio, la relazione terapeutica e le qualità personali del terapeuta), orientamento alla rimozione dei sintomi. Non a caso, nella lista del 1995 la quasi totalità dei trattamenti considerati validi e, perciò, efficaci, appartenevano agli approcci comportamentista e cognitivo comportamentale. Tutti i modelli psicodinamici, umanistici e sistemici rimasero esclusi. La pubblicazione della lista provocò vivaci proteste nelle comunità dei professionisti e in ambito accademico e riaccese un dibattito – già avviato dagli anni ‘30 del secolo scorso – all’interno del quale si alzarono molte voci polemiche e critiche, in particolare verso il modo in cui era stato inteso ed applicato il concetto di efficacia in psicoterapia (Ackerman, Benjamin, Beutler, Gelso, Goldfried, Hill, Lambert, Norcross, Orlinsky & Rainer 2001; Castonguay 1993; Frank & Frank 1991; Goldfried 1980; Grencavage & Norcross 1990; Hubble, Duncan & Miller 1999; Luborsky, Singer & Luborsky 1975; Norcross 2002; Orlinsky, Grave & Parks 1994; Rosenzweig 1936; Wampold 2001). Nel corso del dibattito che animò il decennio successivo, il concetto di ‘trattamento validato empiricamente’ prima slittò verso quello di ‘trattamento supportato empiricamente’ (Empirically Supported Treatment, EST) per approdare, in un secondo tempo, alla formulazione della ‘pratica basata sull’evidenza’ (Evidence-Based Practice , EBP), attualmente in vigore, e sancita dalla nuova Dichiarazione della Presidential Task Force on Evidence-Based Practice dell’APA (2006). Il passaggio dalla prima formulazione all’ultima è stato caratterizzato da diverse modifiche nel senso di una maggiore apertura verso i modelli psicoterapeutici meno rigidamente orientati alla risoluzione del sintomo o all’applicazione di tecniche specifiche e standardizzate. Tale evoluzione ha cominciato a segnare, secondo alcuni autori (Elkins 2007; Wong 2010) il passaggio da un ‘modello medico’ delle psicoterapie, totalmente coincidente con quello delle scienze mediche, ad un ‘modello contestuale’ (Elkins 2007). Quest’ultimo, in modo significativo, rimanda concettualmente all’affermazione, più o meno coeva, del ‘modello biopsicosociale’ della salute, adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’inizio di questo secolo (World Health Organization (WHO) 2001) e in via di diffusione in tutto il mondo.

 

È ancora oggi oggetto di dibattito se il metodo di ricerca degli studi clinici controllati e randomizzati (RCT) possa realmente stabilire l’efficacia sia di un trattamento psicoterapeutico nel suo complesso sia dei benefici derivanti da una relazione psicoterapeutica, dal momento che attribuisce lo status di variabili estranee – dunque da controllare – a fattori che sono, invece, determinanti in tutti i tipi di approcci, ma assolutamente centrali nelle psicoterapie psicodinamiche e umanistiche in generale e nella psicoterapia della Gestalt nel caso specifico. Indubitabilmente, gli studi condotti tramite RCT forniscono importanti informazioni relative alla validità delle tecniche psicoterapeutiche, laddove queste rappresentino, in relazione al modello teorico di riferimento, il fattore determinante per il successo del trattamento. Peraltro, il documento APA del 2006 non solo ridefinisce il concetto di pratica basata sull’evidenza in psicologia come “l’integrazione della migliore ricerca disponibile con la competenza clinica nel contesto delle caratteristiche, della cultura e delle preferenze del paziente” (APA Presidential Task Force on Evidence-Based Practice 2006, p. 273) ma anche amplia significativamente il numero e il tipo di evidenze di ricerca da prendere in considerazione: osservazioni cliniche, ricerche qualitative, studi sistematici dei casi, disegni sperimentali su caso singolo, ricerche di salute pubblica ed etnografiche, studi sugli esiti (outcome), efficacia della ricerca in ambiente naturale, studi clinici randomizzati e loro equivalenti logici, meta analisi.

 

Review e Meta-analisi

 

La Psicoterapia della Gestalt non si è sottratta, già a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, alle prove sulla validità scientifica del modello, condotte nell’ambito della ricerca sui trattamenti di tipo esperienziale. Le terapie esperienziali sono una parte consistente della tradizione della psicologia umanistica che comprende, tra i principali approcci, quello Centrato sul Cliente, quello della Gestalt e quello Esistenziale. Altri indirizzi importanti, che rientrano in questo ambito, sono lo Psicodramma, un insieme di approcci espressivi focalizzati sulle emozioni, le terapie a mediazione/orientamento corporei, ed altri approcci esperienziali-interpersonali: “Originariamente indicate come terapie ‘umanistiche’ o ‘terza forza’, queste terapie hanno recentemente iniziato ad essere raggruppate insieme sotto il termine ombrello di ‘esperienziali’”(Elliott, Greenberg & Lietaer 2004). Uno studio fondamentale sull’efficacia delle terapie esperienziali è quello condotto – e periodicamente aggiornato – proprio da Elliott, Greenberg e Lietaer (Elliott, Greenberg & Lietaer 2004; Greenberg, Elliott & Lietaer 1994). Esso consiste in una serie di review di meta-analisi dei lavori a carattere sperimentale effettuati sulle terapie esperienziali nel corso degli anni. Nell’edizione del 2004 la review comprendeva l’analisi della misura dell’effetto (o differenza media standardizzata) pre e post intervento psicoterapeutico relativa a 112 studi (127 campioni sperimentali, per un totale di 6569 clienti di psicoterapia) pubblicati nel corso di quasi un trentennio (1978 – 2003). Per quanto riguarda la distribuzione temporale, 10 studi sono stati condotti prima del 1970, 19 negli anni 70, 31 negli anni 80 e più della metà (67) dagli anni 90 in poi. La lunghezza media del trattamento è di 22 sedute (ds = 22,5; min.: 2, max.: 124), il numero medio di clienti è 51,7 (ds = 142,5; min.: 6, max.: 1426). Per ciò che riguarda le condizioni di controllo, gli autori prendono in considerazione 42 comparazioni (da 37 studi, con un campione complessivo di 1149 clienti) con liste d’attesa o condizioni di non trattamento; 74 comparazioni (55 studi, 1375 clienti) tra terapie esperienziali e non esperienziali; 5 comparazioni tra differenti tipi di terapie esperienziali (5 studi, 164 clienti). Al fine di circoscrivere la ricerca, il lavoro in esame non ha preso in considerazione gli studi sull’alleanza terapeutica, sui processi che favoriscono od ostacolano la terapia, sulla psicoterapia dei bambini e sulla costruzione di strumenti di misura per le ricerche. Inoltre, sono stati esclusi tutti i lavori che avevano come oggetto di indagine gli approcci integrati. Per ciascuno studio sono state valutate anche le caratteristiche dei trattamenti, dei clienti e dei terapeuti, al fine di individuare il contributo di ognuna di queste caratteristiche alla dimensione dell’effetto. L’imponente lavoro di Elliott, Greenberg e Lietaer è corredato da una serie di tabelle accurate che riassumono sinotticamente i principali risultati delle meta analisi condotte, approccio per approccio. Nell’edizione del 2004 della review vengono presi in considerazione diciotto studi relativi specificamente agli outcome della psicoterapia della Gestalt, rispetto ai tre della prima edizione del 1994. Undici studi sono relativi a percorsi di psicoterapia (Beutler, Engle, Mohr, Daldrup, Bergan, Meredith & Merry 1991; Beutler, Frank, Schieber, Calver & Gaines 1984; Cross, Sheehan & Khan 1982; Elliott, Greenberg & Lietaer 2004; Felton & Davidson 1973; Greenberg, Seeman & Cassius 1978; Jessee & Guerney 1981; Johnson 1977; Johnson & Smith 1997; Serok, Rabin & Spitz 1984; Serok & Zemet 1983; Tyson & Range 1987; Yalom, Bond, Bloch, Zimmerman & Friedman 1977) mentre altri sette si riferiscono a gruppi di incontro, di crescita personale o maratone (Foulds 1970, 1971a, 1971b; Foulds, Girona & Guinan 1970; Foulds & Guinan 1973; Foulds, Guinan & Hannigan 1974; Foulds, Guinan & Warehime 1974). Per quanto riguarda gli undici studi relativi ai percorsi psicoterapeutici, le popolazioni di pazienti indagate sono così distribuite: quattro studi comprendono un campione misto, in alcuni casi prevalentemente nevrotici (Beutler, Frank, Schieber, Calver & Gaines 1984; Cross, Sheehan & Khan 1982; Greenberg, Seeman & Cassius 1978; Yalom, Bond, Bloch, Zimmerman & Friedman 1977), due studi sono effettuati con depressi (Beutler, Engle, Mohr, Daldrup, Bergan, Meredith & Merry 1991; Tyson & Range 1987), due studi hanno coinvolto pazienti schizofrenici (Serok, Rabin & Spitz 1984; Serok & Zemet 1983), due studi riguardano pazienti fobici (Johnson 1977; Johnson & Smith 1997), ed, infine, uno studio è sul disagio coniugale (Jessee & Guerney 1981), uno su genitori di bambini problematici (Little 1986) ed uno su studenti di scuola superiore con basso rendimento scolastico (Felton & Davidson 1973). Quasi tutte le ricerche considerate riguardano setting di gruppo. Gli effetti sono stati misurati sia al termine del percorso terapeutico sia – ma non in tutti i casi – tramite follow up a due-quattro mesi e/o a dieci-tredici mesi. La media dell’effetto per i primi undici studi risulta essere = 1.23 (min.: .23 (Yalom, Bond, Bloch, Zimmerman & Friedman 1977); max.: 3.05 (Jessee & Guerney 1981)), mentre la mediana, calcolata prendendo in considerazione la misura dell’effetto più alta per ciascuno studio, è =.91: entrambe sono considerevolmente al di sopra di .80, ovvero il valore indicato da Cohen (1988) come ampia misura dell’effetto (large effect size). Le sette ricerche sui gruppi di incontro, di crescita personale o maratone hanno visto coinvolta una popolazione ‘normale’ ovvero per lo più studenti universitari senza alcuna diagnosi dichiarata. L’effect size medio è, in questo caso, =.76, la mediana = .80, ovvero entrambi valori che ricadono in una misura dell’effetto considerata ampia. Lo studio di Elliott, Greenberg e Lietaer affronta anche il tema della comparazione tra diversi tipi di psicoterapia: i confronti effettuati hanno dimostrato una sostanziale equivalenza tra terapie esperienziali e terapie non esperienziali (74 studi, effect size medio =.04) e tra terapie esperienziali e terapie cognitivo comportamentali (46 studi, effect size medio = -.11).

 

Un altro lavoro di meta analisi di grande rilevanza per la psicoterapia della Gestalt è l’ampia e meticolosa ricerca condotta in Germania da Uwe Strümpfel, descritta nel volume Therapie der Gefuehle. Research findings on Gestalt therapy (2006), ad oggi disponibile solo in lingua tedesca. Strümpfel analizza, attraverso dieci differenti meta-analisi, i dati provenienti da settantaquattro pubblicazioni che hanno come oggetto la ricerca sul processo terapeutico e sui suoi esiti. I test di efficacia sono stati condotti su circa 4.500 pazienti, dei quali approssimativamente 3.000 trattati con la psicoterapia della Gestalt e 1.500 controlli. Il lavoro di Strümpfel comprende, logicamente, molti degli studi già considerati da Elliott, Greenberg e Lietaer (2004) ma, rispetto a questi, amplia notevolmente le maglie dei criteri di esclusione (coerentemente, peraltro, con le indicazioni coeve della Presidential Task Force dell’APA (2006) e, più in generale, con gli orientamenti prevalenti nel dibattito sulla pratica basata sull’evidenza) giungendo ad includere anche dissertazioni non pubblicate, studi di casi singoli e pazienti con diagnosi multipla, generalmente esclusi dagli studi ‘di laboratorio’. Il 70% degli studi oggetto della review si riferiscono ad applicazioni della psicoterapia della Gestalt ‘classica’, senza integrazioni di sorta, mentre il restante 30% riguarda setting nei quali la psicoterapia della Gestalt è stata combinata con pratiche mutuate da altri approcci, prevalentemente esperienziali. Gli ambiti indagati da Strümpfel sono numerosi: tra questi, un’ampia gamma di disturbi (schizofrenia, disturbi della personalità, disturbi d’ansia e della sfera emotiva, dipendenza da sostanze, disturbi psicosomatici), diverse categorie di pazienti e una grande varietà di setting. I risultati indicano un’efficacia significativa per le terapie umanistiche in generale e per la Gestalt in particolare, anche quando confrontate con altri tipi di approcci. In particolare, in base ai dati riportati da Strümpfel e alle ricerche da lui condotte, la psicoterapia della Gestalt dimostra la sua efficacia nel trattamento della schizofrenia (terapia della Gestalt ‘classica’), della depressione e dei disturbi ansiosi (terapia focalizzata sulle emozioni – una forma manipolata di terapia della Gestalt (Elliott, Greenberg & Lietaer 2004; Pos & Greenberg 2007; Sloan 2004; Strümpfel 2006; Strümpfel & Goldman 2001) – in combinazione con interventi di psicoterapia della Gestalt ‘classica’: effect size dal 25% al 73% più elevato rispetto alla terapia centrata sul cliente), delle tossicodipendenze (psicoterapia della Gestalt combinata con misure attive di reinserimento sociale: tasso di ricaduta a lungo termine inferiore al 30%), nella terapia non farmacologica del dolore (riduzione della sintomatologia algica nel 55% dei pazienti). Buone evidenze di efficacia emergono anche in relazione al trattamento di studenti con basso rendimento scolastico, genitori con figli ‘problematici’, coppie con difficoltà di comunicazione e persone anziane socialmente isolate. Inoltre, in un lavoro citato nello studio di Strümpfel (Schigl 1998)il 63% dei pazienti riferisce di aver raggiunto i propri obiettivi iniziali o completamente o in gran parte nel corso della psicoterapia della Gestalt. Dopo la fine della psicoterapia, l’uso di psicofarmaci è stato ridotto della metà e quello di tranquillanti sino al 75%. Infine, i pazienti hanno dichiarato di aver appreso strategie utili per gestire con successo sintomatologie ricorrenti.

 

Vanno infine citati altri due studi sull’efficacia della psicoterapia della Gestalt. Il primo è contenuto nel volume curato da Cain e Seeman ed edito dall’APA (2001), sulla ricerca e la pratica nelle psicoterapie: i risultati ottenuti sono nettamente a favore dell’efficacia della psicoterapia della Gestalt. Il secondo consiste in una ricerca condotta nel 2001 presso l’Institute of Health Services Research dell’Università di Monash, a Melbourne (Centre for Clinical Effectiveness 2001) e che, per quanto prenda in esame solo sette studi pubblicati tra il 1990 e il 2000 (Clance, Thompson, Simerly & Weiss 1994; Cook 1999; O’Leary & Page 1990; Paivio & Greenberg 1995; Rosner, Beutler & Daldrup 2000; Serok & Levi 1993; Spagnuolo Lobb 1992)si segnala per il particolare rigore metodologico della ricerca, compresa una meticolosa selezione del campione sulla base di criteri di esclusione ispirati al concetto di ‘trattamento validato empiricamente’, ovvero la prima versione delle indicazioni dell’APA. Il lavoro conclude con l’affermazione che sei dei sette studi presi in considerazione risultano in un incremento negli esiti positivi della psicoterapia quando comparati con altri trattamenti o con nessun trattamento.

 

Altri studi sulla pratica basata sull’evidenza

 

Un’importante iniziativa nell’ambito degli studi di validazione e di efficacia sulle psicoterapie esperienziali è il Network for Research on Experiential Psychotherapies che trova la sua espressione operativa nel sito internet: http://www.experiential-researchers.org/index.html, ed è dovuta all’iniziativa del The Focusing Institute in collaborazione con la Society for Psychotherapy Research (SPR) e la cooperazione e il supporto del World Association for Person-Centered and Experiential Psychotherapy and Counseling (WAPCEPC). Il Network ha lo scopo non solo di raccogliere dati utili a provare l’evidenza scientifica delle psicoterapie esperienziali, ma anche di stimolare la ricerca nello stesso ambito. Allo stato attuale, nel sito sono raccolti oltre un centinaio di abstract di studi sulla psicoterapia della Gestalt.

 

Il nostro Istituto (IPGE) ha, infine, condotto in proprio una ricerca bibliografica per valutare la consistenza attuale della produzione scientifica in merito alle evidenze sull’efficacia della psicoterapia della Gestalt, a distanza di oltre sei anni dal lavoro di Strümpfel (2006). La ricerca, condotta sui principali database scientifici di riferimento (EBSCOHost, ERIC, MEDLINE) utilizzando come keywords i termini ‘gestalt’, ‘therapy’, ‘psychotherapy’ nei campi ‘abstract’ e ‘title’ , limitatamente a: ‘english language’, ‘book section’, ‘book’ e ‘peer reviewed journal’, ha consentito di individuare circa 1000 prodotti. È stata quindi effettuata una selezione manuale:

  1. considerando unicamente gli articoli che nell’abstract fanno riferimento a studi sperimentali o quasi sperimentali e/o all’utilizzo di test e questionari e/o a procedure comparative tra trattamenti
  2. escludendo diverse fonti di evidenza pure consentite dalla dichiarazione del 2006 della Task Force dell’APA, come gli studi su caso singolo.

A ciò si è aggiunta una ulteriore ricerca manuale basata sulla bibliografia delle review pubblicate e su elenchi bibliografici presenti nei siti specializzati di alcuni istituti di gestalt nazionali ed internazionali. Al termine del processo è stato ottenuto un campione finale di 185 prodotti. Il periodo di riferimento dei lavori selezionati si estende per circa un quarantennio, dal 1968 al 2010: 49 studi nel decennio 1970/1980, 54 nel decennio 1980/1990, 48 nel decennio 1990/2000, 35 nel decennio 2000/2010. La produzione appare dunque relativamente costante nel tempo, con una media di circa 5 studi a carattere sperimentale ogni anno. Gli articoli selezionati sono apparsi, complessivamente, su oltre 100 riviste scientifiche internazionali. Tra le riviste che hanno ospitato più frequentemente contributi scientifici sulla psicoterapia della Gestalt sono presenti:

Psychotherapy: Theory, Research & Practice (23; 2011 ISI 5-Year Impact Factor: 1.563), il Journal of Counseling Psychology (10; ISI Impact Factor: 3.228) il Counselling Psychology Quarterly (13).

Gli Autori rappresentati sono oltre 400: tra i più prolifici L. S. Greenberg (26) prevalentemente nell’ultimo ventennio, M. L. Foulds (17) nel corso degli anni settanta, S. Serok (7) negli anni 80, L. E. Beutler (5) e E. O’Leary (7) tra gli anni 90 e i 2000. Una parte degli articoli presi in esame sono stati già trattati negli studi discussi in precedenza e non è di utilità, in questa sede, illustrarli nuovamente. Un aspetto utile di questa ulteriore indagine, per gli scopi di questa trattazione, può consistere nella valutazione di quei lavori che hanno testato l’efficacia di tecniche specifiche utilizzate in psicoterapia della Gestalt. È quindi interessante riportare, a titolo di esempio, i diciassette lavori nei quali è stata testata la tecnica gestaltica per eccellenza:

  • la sedia vuota (Clarke & Greenberg 1986;
  • Conoley, Conoley, McConnell & Kimzey 1983;
  • Greenberg, Warwar & Malcolm 2008;
  • Greenberg 1980;
  • Greenberg 1983;
  • Greenberg 1992;
  • Greenberg & Clarke 1979;
  • Greenberg & Dompierre 1981;
  • Greenberg & Higgins 1980;
  • Greenberg & Rice 1981;
  • Greenberg & Sarkissian 1984;
  • Greenberg & Webster 1982;
  • Johnson 1977;
  • Johnson & Smith 1997;
  • Mackay 2002;
  • Paivio & Greenberg 1995;
  • Tyson & Range 1987).

Tra queste ricerche, solo una (Tyson & Range 1987) non rileva alcuna differenza rispetto ai controlli, mentre le altre 16 attestano l’efficacia della tecnica della sedia vuota nella riduzione della rabbia (Conoley, Conoley, McConnell & Kimzey 1983), nell’appianamento di conflitti interpersonali e intrapersonali (Clarke & Greenberg 1986; Greenberg 1980; Greenberg 1983; Greenberg 1992; Greenberg & Clarke 1979; Greenberg & Dompierre 1981; Greenberg & Higgins 1980; Greenberg & Rice 1981; Greenberg & Webster 1982; Mackay 2002), nella risoluzione di questioni problematiche aperte (unfinished business)(Paivio & Greenberg 1995), nel trattamento dei casi di abuso (Greenberg, Warwar & Malcolm 2008), nella cura dei sintomi fobici (Johnson 1977; Johnson & Smith 1997).

Bibliografia

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